Era la musica perfetta, la registrazione migliore. Perfino Claude Debussy era rimasto incantato: “Non è possibile ottenere una riproduzione perfetta come quella fornita dalle macchine della Welte. Sono ammirato e stupito”, scriveva con molta cerimoniosità. E aveva anche ragione: nel novembre del 1913 il celebre pianista e compositore francese aveva registrato 14 delle sue brevi composizioni al Welte-Mignon, un marchingegno che riproduceva le sonorità e le sfumature del pianoforte, incidendoli su alcuni rotoli molto particolareggiati. E permetteva di riascoltarle. Insomma, l’antenato del disco.
Il bello di questa storia, in sostanza, è che le registrazioni esistono ancora e così il tocco e la bravura di Debussy arrivano fino a noi. Le possiamo ascoltare, come suoni di un passato lontanissimo. Del resto, si può dire che tutte le registrazioni, in quanto tali, rappresentino la testimonianza, la prova di un momento passato, la fotografia (sonora) di un attimo. Non conservata per sempre, ma ogni volta riprodotta. A differenza delle partiture, affidate all’interpretazione del pianista, le registrazioni regalano la sensazione di sentire gli stessi suoni che erano stati sentiti un tempo. Nello stesso ordine, nella stessa forma, con la stessa durata. Sulle emozioni, però, non si può garantire nulla.
All’epoca di queste registrazioni Debussy aveva 52 anni, e ne vivrà solo altri cinque.