Diego Fusaro è il vuoto fatto show, ma gli anti-Fusaro sono perfino peggio

È un intellettuale da televisione: conta lo spettacolo, non il risultato. Fusaro parla di filosofia come Cracco spiega i piatti da cucinare. Nessuno impara nulla, ma tutti si godono lo spettacolo

La tv, per sua natura, non insegna nulla.

Basta pensare ai programmi di cucina: le ricette vengono spiegate passo per passo, ma nessuno, guardando Masterchef, ha mai imparato a fare neppure un paio di uova strapazzate. Questo perché ciò che conta davvero, in tv, è lo spettacolo, in questo caso lo spettacolo offerto dai cuochi: le verdure che risplendono, i close-up delle goccioline d’olio caldo, l’affabulazione e la manualità sapiente dello chef.

Con i talk-show accade la stessa cosa. Sembra che si discuta di problemi importanti, ma il focus è lo spettacolo offerto dai protagonisti (il famoso “dibattito”) che diventano macchiette, personaggi di una compagnia di giro, invitati a ripetere il loro repertorio.

È per questo che Diego Fusaro e Carlo Cracco, in tv, sono completamente intercambiabili. Cracco rosola il burro, sfiletta lo stoccafisso, sfancula i concorrenti; Fusaro rosola Hegel, guarnisce Gramsci con un ripieno di destra, tratta male l’interlocutore anziano. Il risultato è lo stesso: il piccione in crosta di caffè resta un mistero inaccessibile esattamente come la sintesi tra Marx e Gentile, ma chissenefrega: lo spettacolo è stato garantito e i protagonisti pronti a una nuova ricetta.

Non si tratta di un meccanismo nuovo: i Cracco e i Fusaro di oggi sono i Vissani e i Vattimo degli anni ’90, anche loro perfettamente intercambiabili nell’insegnare a cucinare a D’Alema a Porta a Porta o nel prendersi a male parole con Aldo Busi su Rai3.

A cambiare, in meglio, è piuttosto l’estetica dei protagonisti: a differenza di Vattimo e Vissani, Cracco e Fusaro sono due figaccioni, e lo stesso dicasi per Chef Rubio e Andrea Scanzi, per Joe Bastianich e Filippo Facci.

Il Capitale – come direbbe Fusaro – ha capito che conviene sfruttare non solo il corpo della donna ma pure quello dell’uomo. Migliaia di italiche massaie hanno gli stessi diritti dei loro mariti e così, per par condicio, anche l’uomo, in tv, deve avere una fisicità adeguata.

Diego Fusaro e Carlo Cracco, in tv, sono completamente intercambiabili. Cracco rosola il burro, sfiletta lo stoccafisso, sfancula i concorrenti; Fusaro rosola Hegel, guarnisce Gramsci con un ripieno di destra, tratta male l’interlocutore anziano. Il risultato è lo stesso

Del resto, il boom di Cracco e quello di Fusaro si giustificano esattamente nello stesso modo. Con la crisi del neo-liberismo, in pochi si possono concedere certi sfizi di qualità, come la settimana bianca o la macchina di lusso: così si ripiega su una cena in un ristorante stellato, meglio se di proprietà dello chef televisivo con cui farsi un selfie. Allo stesso modo, in pochi hanno il tempo e i mezzi necessari ad affrontare un Costanzo Preve o un Emanuele Severino: e allora via con un Fusaro veloce sotto l’ombrellone.

Se Carlo Cracco fa pubblicità alle patatine San Carlo e Gualtiero Marchesi ha ideato un panino per McDonald’s, dov’è la stranezza se Bompiani e Feltrinelli sfornano un libro di Fusaro ogni sei mesi? Il meccanismo è lo stesso e ruota attorno al medesimo concetto di resistenza. Bisogna adattarsi ai volumi ridotti, sia quelli economici che culturali, e per restare a galla bisogna provarle tutte. Con i tempi che corrono, un migliaio di copie è già un risultato importante, e allora perché non tentare?

Al limite ci si rifà con le vendite del libro del Milanese Imbruttito.

Certo, Cracco ha un seguito molto maggiore, mentre Fusaro, nonostante le quotidiane apparizioni tv, vale un decimo dello chef vicentino. Però bisogna dargli atto che si sta impegnando come nessun altro per chiudere il gap.

Una visita ai suoi social è un viaggio dentro la psicopatologia della vita quotidiana moderna, un esercizio necessario a chiarire quanto il filosofo nemico del Pensiero Unico abbia però un Unico Pensiero: la celebrazione di sé stesso e del suo ego. Una mitragliata di foto in primo piano (inclusa quella, meravigliosa, dove il Nostro si nasconde, gigione, dietro l’effige barbuta di Marx) come non la si trova nemmeno sulle pagine delle adolescenti insicure; per non parlare della collezione di meme auto-prodotti, dove su foto in bianco e nero, come quelle dei fotografi esordienti, appiccica aforismi rubacchiati un po’ alla Fenomenologia dello Spirito e un po’ a quella dei Baci Perugina. Sarebbe da prendere Zizek e filmarlo mentre li commenta a uno a uno, per creare uno dei format metafisici più esilaranti della Storia.

Del resto, se si scola il fusarismo, purificandolo dai ghirigori per far fare “ooh” ai bambini e agli analfabeti funzionali, restano concetti elementari come un piatto di pasta aglio e olio: gli immigrati vengono sfruttati, i giovani non hanno lavoro, gli estremisti di destra sono uguali a quelli di sinistra… come dargli torto? Come dire di no a una bella spaghettata fatta come Marx comanda?

Giusto ogni tanto, Diego esagera col peperoncino, e quando condisce le sue teorie sul gender rischia di risultare indigesto. Ma si sa che in Italia, per certe idee reazionarie, un certo tipo di pubblico è ghiotto di sapori forti.

Una visita ai social di Fusaro è un viaggio dentro la psicopatologia della vita quotidiana moderna, un esercizio necessario a chiarire quanto il filosofo nemico del Pensiero Unico abbia però un Unico Pensiero: la celebrazione di sé stesso e del suo ego

Quello che allora non si capisce è perché intellettuali e maitre-à-penser assortiti ce l’abbiano tanto con il filosofo dagli occhi blu, spaccandosi il cervello per dimostrare la vacuità delle sue tesi, sfidandolo di continuo sul terreno del pensiero critico. Più loro lo attaccano in punta di argomentazione, più lui diventa forte nelle osterie dei social, autoproclamandosi “intellettuale scomodo”.

Aldo Grasso, in prima pagina sul Corrierone, scrive (citando) che Fusaro adopera “un montaggio semi-aleatorio di un pugno di moduli argomentativi preconfezionati.” E lui ha gioco facile nel rispondere su Facebook facendo finta di non conoscerlo (“Tale Aldo Grasso…”), come quando Emilio Fede faceva finta di non conoscere i parlamentari di sinistra; e poi lo usa a pretesto per dirsi vittima di un complotto dei poteri forti, gli stessi che a giorni alterni lo invitano in tv.

L’antidoto migliore sarebbe farsi una risata, e tutto finirebbe li. Invece gli anti-fusaristi danno di matto, rodendosi il fegato dall’invidia: vorrebbero andare nei programmi in cui va lui, dare del tu a Peter Gomez come glielo da lui, indossare le camicie come le indossa lui. Ma più danno di matto, più sale il dibattito: e con esso lo spettacolo, l’audience, e forse anche le vendite. E il ciclo si ripete.

Il dibattito è il motore ultimo del Capitale: per crearlo non c’è nulla di meglio che trasformare in mito un mitomane. E poi stare a guardare l’effetto che fa, godendosi gli introiti causati dall’invidia altrui.

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