«Ma cu cazzu è Gianulca Vacchi?». Siamo in un paesino del Sud e l’uomo della strada l’abbiamo incontrato proprio in strada. È un fruttivendolo, quindi un esponente delle generazione pre-instagram (pure pre-internet, a occhio pure pre-Gutenberg), quindi culturalmente svantaggiato rispetto al lettore di questa pagina e perfino allo scrivente. Del bon vivant dei bon vivant riesce a dire solo questo: «Ma cu cazzu è Gianluca Vacchi?».
Solo che anche i più culturalmente avvantaggiati rimangono con lo stesso dubbio. Riformuliamo in modo appena più aulico: “Chi accidenti è Gianluca Vacchi?” Perché sull’uomo da 10, 5 milioni di visualizzazioni, il “re” di Instagram (Barack Obama e Rihanna sono molto sotto di lui), Mr Enjoy, tutto bi-tri-quadricipiti & pettorali miniati si sanno dei dati precisi, ma non si capisce bene né il perché né il percome.
Si sa che fa parte (non sappiamo quanto attivamente, crediamo ben poco) di una famiglia di industriali del packaging. Si sa che ha fidanzate o simil-fidanzate fichissime. Si sa che ha compiuto l’altro giorno 50 anni e ha detto al Corriere che la mattina si iberna per mantenersi giovane. Poi si sa che ha un dolce accento dell’Emilia, e si sa, perché lo ha detto lui stesso in un’intervista, che non segue l’idea calvinista di posticipare il piacere. “Se posso il piacere io lo anticipo” ha detto. Bene, il piacere lui lo anticipa. Non è calvinista, lui. E adesso?
Si sa che fa i balletti. Sullo yacht, a bordo piscina, ovunque. Si sa che fa colazione con un vassoio nell’acqua. Che sta in mutande a gambe aperte sulla poltrona di un jet. Che va in motorino, sempre sott’acqua. Evabe.
Ma sul perché Vacchi abbia successo, sul perché dei milioni di follower (a parte i malevoli sospetti di averli comprati) siamo tutti, noialtri uomini della strada o colti fenomenologi, nella stessa situazione. Gianluca Vacchi nonostante il grande sfoggio di apparenza è e resta misteriosissimo: dal filosofo all’uomo della strada rimangono tutti lì appesi, con in mano la domanda: «ma cu cazzu è Gianluca Vacchi».
Dal filosofo, al fenomenologo all’uomo della strada rimangono tutti lì appesi con in mano la domanda: «ma cu cazzu è Gianluca Vacchi».
Dal punto di vista iconico Vacchi è un misirizzi. Una testa che viene fuori dalla scatola e fa peeee, anzi forse una lingua di Menelicche, un marameo mediato da Instagram, e non si sa bene che effetti susciti. Proiezione del desiderio di soldi e avventura? Forse. Ma non c’è nessuna dinamica e nessuna narrativa in Vacchi. Su altri (vedi alla voce Lapo Elkan) si può costruire un’epica e un dramma: di famiglia, personale, storico. Su Vacchi poco, niente. È tutto lì, appiccicato alla fotografia o al videino a bassa risoluzione. È una figurina. Ci si aspetterebbe di trovarlo sulle carte del mercante in fiera che fa la pernacchia.
Indignazione? Sì da parte di quelli che invidiano denaro e bella vita, forse. Ma come catalizzatore di odio e invidia sociale si può trovare di meglio, via, per esempio un Briatore. Vacchi è inoffensivo, appunto ha l’accento dolce e parla in modo misurato. Ammette che non sa niente di internet, e che la sua è una strategia social costruita. Non è da odiare.
Eh, ma allora «cu cazzu è Gianluca Vacchi»?
L’imprenditore non riesce a farsi dare centomila euro per salvare il capannone. L’allevatore non ce la fa e i soldi per abbeverare le vacche le banche non li danno. Alle vacche no, ma a Vacchi sì. E forse ci sta. Come negare qualcosa a una carta di mercante in fiera?
Si può forzare l’analisi, allora. E dire che Vacchi è una perfetta efflorescenza del postmoderno pop. Per decenni la pop art, la popculture, la televisione e tutto hanno giocato sulla frizione tra apparenza e sostanza. Gioco meraviglioso, di tragici correlativi oggettivi e di morte dell’arte e guizzi di testa. Solo che alla fine è rimasta solo l’apparenza, uno strato sottilissimo di apparenza.
Eh, sì, con Vacchi siamo al misterioso perché non c’è mistero. C’è il dubbio che non ci sia lui, davvero, anche. Il nulla. Nichilismo, come dice col ditino puntato Diego Fusaro. Vacchi è la bolla speculativa della società dell’immagine e dell’internèt.E a proposito di bolla speculativa. Il fatto che banche abbondantemente in crisi gli abbiano prestato milioni di euro che non riesce a restituire, e che ora cercano disperatamente di recuperare non deve destare stupore né meraviglia. L’imprenditore non riesce a farsi dare centomila euro per salvare il capannone. L’allevatore non ce la fa e i soldi per abbeverare le vacche le banche non li danno.
Alle vacche no, ma a Vacchi sì. E forse ci sta. Come negare qualcosa a una carta di mercante in fiera? E anzi è strano strano che si siano ricordati di lui al momento della riscossione. Perché di sicuro qualcuno dei funzionari di banca, cliccando sulla sua situazione economica si sarà chiesto, per un momento: «Ma cu cazzu è Gianluca Vacchi?».