Può un’eccentrica teoria di uno svitato diventare ideologia di regime? Certo, eccome. Ad esempio la teoria della “Cosmogonia glaciale”, o Welteislehre, che riuscì, senza volerlo, a diventare uno dei punti di riferimento scientifici del nazismo. Secondo questa dottrina, inventata alla fine del XIX secolo da un ingegnere fantasioso, l’austriaco Hanns Hörbiger, nell’universo esiste solo una stella: il Sole. Tutti gli altri corpi luminosi sarebbero, in realtà, dei ghiacciai distanti che riflettono la sua luce. I pianeti, invece, esistono – concede – ma sono del tutto coperti di ghiaccio, tranne la Terra.
Il lettore non sarà stupito di scoprire che Hörbiger avesse ricavato queste convinzioni non dall’osservazione dell’universo, bensì da un sogno. Si ritrovò che galleggiava nello spazio, vicino a un pendolo gigante che andava avanti e indietro e che, a ogni movimento, diventava sempre più grande. Alla fine si spezzò, e lo “scienziato”, risvegliandosi, capì che doveva trattarsi di una rivelazione. La forza gravitazionale del Sole, comprese, non andava oltre tre volte la distanza di Nettuno e, in ogni caso, tutte le tensioni fisiche degli elementi del cosmo potevano essere spiegate dal gioco continuo dei due antagonisti principali: il fuoco e il ghiaccio. Se lo dice un antico greco possiamo ancora perdonarlo. Ma se lo sostiene un ingegnere a metà tra 1800 e 1900 la tolleranza è assai minore.
Non solo: l’intero universo sarebbe nato quando una stella enorme e piena di acqua si scontrò con un’altra stella, ancora più grande. Seguì un’esplosione, con migliaia di frammenti di ghiaccio schizzati in tutte le direzioni (diventando gli attuali sistemi solari, incluso il nostro), con in più il collasso della mega-stella e l’inizio della danza cosmica. La rotazione dei pianeti, la gravità e tutti gli altri movimenti dell’universo trovano una spiegazione proprio nell’interazione continua tra questi satelliti di ghiaccio primordiali. Non solo. Nella teoria trovano spazio anche la storia geologica della Terra, la nascita della vita, la creazione dell’uomo, le tradizioni nordiche, il terremoto di Messina e i temporali. Non manca nulla. Per questo (e solo per questo) è completa.
Hörbiger, con l’aiuto di un astronomo più squinternato di lui, cioè Philip Fauth, nel 1912 riuscì a mettere tutto per iscritto e, addirittura, a guadagnare un certo seguito. Ci fu un intenso lavoro di promozione: incontri, eventi, pubblicità. Nacquero società a sostegno della sua dottrina, iniziative pubbliche e private, riviste e romanzi. Il mondo scientifico non dedicò molta attenzione alle sue fantasie. Le stroncature, nettissime, non furono però numerose e questo aiutò Hörbiger a sopravvivere. Fu molto utile anche il fatto che poteva infilare questa sua teoria in ogni argomento, anche non scientifico, modificandola a piacere e secondo la necessità.
Era, del resto, l’epoca giusta: anti-scientifica, innamorata dell’occulto e del paranormale. La Teoria della Cosmogonia Glaciale andava di pari passo con la parapsicologia, con tutto il ciarpame dell’”esoterismo scientifico” tanto in voga e che si dava un gran daffare per distinguersi dall’esoterismo tout court. Era l’epoca dell’antroposofia, dell’agricoltura biodinamica, dell’astrologia (tutte cose ancora in vita, a dimostrazione che il cervello umano non è migliorato negli anni), di tutte quelle manifestazioni dell’occulto che piacevano tanto a Hitler e ai nazisti perché erano associate alle tradizioni culturali nordiche. A differenza della teoria di Hörbiger, però, mantenevano ancora una percentuale semitica: erano pur sempre di provenienza mediorientale.
La Teoria della Cosmogonia Glaciale no: era ariana al cento per cento, tedeschissima e germanissima. In più, rappresentava un’alternativa a tutta quella scienza (quella vera) che faceva capo a luminari ebrei, come Albert Einstein. Insomma, da parte del regime, più che la credulità poté la politica (se si vuole definirla tale). Inoltre, di fronte all’appropriazione nazista, l’unica scusante per Hanns Hörbiger è la stessa di Friederich Nietzsche e Richard Wagner: all’epoca, era già morto da tempo.
Il nazismo la sposò in modo convinto. Era amata dai vertici del regime perché, come spiegava l’intellettuale nazista Edgar Daqué, la teoria della Cosmogonia Glaciale rappresentava “lo spirito della razza nel tempo e nella scienza”. Era “una risposta aggressiva e una separazione rivoluzionaria dal sistema dei poteri scientifici stranieri”, compresa la fisica e l’astronomia della “borghesia autocompiaciuta occidentale”. Delirio puro, insomma, che non impedì di diffonderla in modo esteso a tutta la popolazione tedesca, che si lasciò convincere. Ma non durò tanto a lungo.
Nel 1938, dopo l’Anschluss, i nazisti si erano già stufati di tutte quelle fumisterie. Tolsero i fondi e si sbarazzarono dell’Istituto dedicato. Il figlio di Hörbiger decise di mediare e ottenne di mantenere aperta la società, anche se il governo era molto contrario. Durante la guerra continuò le sue pubblicazioni, fino a quando il ministero della propaganda non gli intimò di piantarla: quei bollettini innocui erano considerati alto tradimento. Cosa era successo nella testa dei gerarchi nazisti? Perché una teoria tanto amata da Hitler in persona divenne un pericolo? Forse è solo una questione di opportunità politica. Oppure, anche (perfino!) i nazisti, nel loro piccolo, a un certo punto non ne possono più.