Non fare il moralista, togliti le mutande ed esci di casa

La voglia di uscire nudi e tranquilli, come la ragazza di Bologna, come ”l'uomo nero” alla fontana del Gianicolo. Nell’estate 2017 la nudità si scarica di ogni significato politico. Diventa un fatto quasi zen. Ed eccoci, nudi e senza meta

Nudi senza meta, per puro piacere. Se fosse una pubblica dichiarazione politica d’intenti, avrebbe come striscione questa parola parola d’ordine: “La bellezza di andare in giro nudi”. Ma nudi nudi, non come i nudisti, che hanno invece una dispensa agli abiti in quanto tali, come poveri apache o cheyenne confinati nelle loro riserve con il chioschetto delle bibite sullo sfondo, nudi e con il marsupio a fare ombra al pisello o alla pisella, lì sul davanti. Nudi nudi, come gesto di libertà che si motiva in se stesso. Mi piace andare in giro nudo, embè, avresti qualcosa da ridire? La bellezza di mostrarsi a spasso senza travisamenti, come la ragazza di Bologna che dice di averlo fatto, appunto, per un bisogno di far crescere l’autostima, quasi una pratica Zen per superare le insicurezze, di nuovo embè?

La voglia di andare in giro nudi con estrema tranquillità, dunque e soprattutto. Senza cioè bisogno di correre come matti per evitare d’essere agguantati dalla forza pubblica, meglio, dalla squadra del “buon costume” ricostituita per l’occasione, assodate le nuove emergenze pubbliche: migranti, immondizia e, appunto, gli irresponsabili cui è presa la fissa di andare in giro davvero nudi.

La nudità come abito, forse anche come esibizionismo, tutt’altra storia rispetto alla galleria dei grandi nudi trascorsi e ostentati

Più nulla comunque a che vedere con l’antico “streaking”, ricordate? Cose dei primi anni Settanta, cioè il furfante contestatore che arriva, metti, allo stadio durante la partita Mondo contro Resto del Mondo, si guarda intorno a bordo campo, poi, quando intuisce la presenza di Nixon e Breznev tra gli spalti, vede l’attimo propizio e così si libera d’ogni abito e corre corre a ampie falcate sul verde del prato dello stadio dell’universo, idealmente di tutti gli stadi del cosmo, così finché non vede sopraggiungere i poliziotti a braccarlo, a coprirne il pene con un berretto da “bobby”. Dai, non puoi non ricordare, c’è pure una celebre foto a testimonianza della prodezza di quell’eroe della liberazione dagli slip.

E ancora, parlando della nudità in cronaca quotidiana, non penso neppure alle Femen che la buttano in politica in nome di un bisogno di atea laicità, e non faccio ritorno neanche ai balli nudi di Woodstock con le tette nel fango della festa, o ancora, pensando a noi, non mi riferisco neppure a Parco Lambro, 1976, con nuove tette e nuove ciole (come usano dire in Puglia) lì in attesa di mettersi in corteo durante la festa “del proletariato giovanile”, anzi, come recitava uno slogan apposito, tutti “nudi verso la follia”. E non citerò neppure, parlando di pittura, i nudi che offrono il posteriore di Boucher o “L’origine del mondo” in primo piano di Courbet.

La bellezza di andare adesso in giro nudi non è neppure un sentimento escursionistico, al contrario coincide con l’affermazione di un passo lento senza meta: mostrarsi, punto. Sai che ti dico? Esco un attimo, e via, così come mi viene, esco. La nudità come abito, forse anche come esibizionismo, tutt’altra storia rispetto alla galleria dei grandi nudi trascorsi e ostentati. Spiego meglio: un tempo, metti, quando c’era B.B., il nudo era “provocazione”, significava appunto mi sono messa a nudo, era “scandalo”, così tanto che figurava anche nei manifesti o nei titoli dei “rotocalchi”, poi, sarà stato intorno ai primi anni Ottanta, arrivò il manifesto di un film, “La femme publique”, dove c’era un’attrice, tal Valérie Kaprisky, nuda, ma eravamo già oltre la provocazione, nel senso che lì, con lei, la nudità era piuttosto “indossata”, era insomma vestita del proprio nudo, chiaro, no?

La ragazza, bella, piumata, che nei giorni scorsi passeggiava anche lei nuda nel centro di Bologna, un’aostana di 26 anni, e per questo multata infine, a mo’ di monito, dalla polizia ferroviaria “per atti contrari alla decenza”, intercettata dagli agenti vicino alla stazione e sanzionata per ben 3300 euro, appartiene a un’altra “razza” ancora.

Non vorrei esagerare, ma la meravigliosa bellezza di andare in giro nudi testata dalla nostra ragazza biondina e sorridente l’altro giorno sotto le Due Torri è anche un modo di rispondere al pensiero implicito della morte e dell’assenza di un futuro

Ai gendarmi che, un po’ come nelle avventure di un Pinocchio “reload”, cioè al tempo di Instagram, l’hanno fermata racconta di averlo fatto perché “voleva vincere la paura che provava quando si sentiva osservata”. Una confessione che non può non farle conquistare la immediata simpatia e solidarietà di chi abbia davvero a cuore i principi della naturalezza, l’affermazione della gioventù come rivolta a tutto ciò che di mortuario e di antierotico c’è nel vivere quotidiano adulto, molto al di là dell’idea ipocrita dell’oscenità da sorvegliare e punire.

Non vorrei esagerare, ma la meravigliosa bellezza di andare in giro nudi testata dalla nostra ragazza biondina e sorridente l’altro giorno sotto le Due Torri è anche un modo di rispondere al pensiero implicito della morte e dell’assenza di un futuro, assodato che nozioni da libro di lettura per le medie come “sviluppo” e “progresso”, una volta sbandierate accanto all’immagine dell’Atomium di Bruxelles, il monumento alle “scienze e agli usi dell’atomo”, roba da ottimismo tardo-postbellico del 1958, sono davvero tramontate.

Mi direte: ma non sarà eccessiva così tanta tolleranza verso l’esibizionismo narcisistico montante? È da vedersi, ma sarebbe stato il caso di pensarci assai prima che i social – Facebook, Twitter e Instagram – diventassero il nostro verbale esistenziale quotidiano (hai notato, fra molto altro, che ormai non manca mai la foto perfino dell’ultimo caso di cronaca nera e bianca, visto che per reperirla basterà consultare la bacheca del soggetto o della vittima interessati?), il nostro modo di lasciare tracce della nostra scia vivente, o anche della nostra bava.

E va bene, mi direte, passi per il nudo della biondina con zainetto, ma che dire invece dell’uomo di colore, anzi, del “negro” (cit.) che sempre di questi tempi torridi è entrato nella fontana dell’Acqua Paola, cioè al Fontanone del Gianicolo, completamente nudo, attirando, va da sé, l’attenzione e il turbamento esotico di turisti, indigeni e perfino spose, lì in posa sul davanzale della più celebre skyline cittadina per l’album “del giorno più bello”, come già mostrato da Sorrentino nella “Grande bellezza”?

​Nella meravigliosa azione che corrisponde all’andare in giro nudi, filosoficamente parlando, c’è molto di più di una semplice effrazione all’indecenza. A volte è solo la consapevolezza di una panza di troppo dal trattenerci dal farlo anche noi

Anche in questo caso, al di là dell’uso improprio del manufatto monumentale barocco da parte dell'”Uomo nero” (pare avesse con sé un secchio con cui lavarsi sia la parte superiore del corpo sia l’altra destinata alle cosiddette abluzioni) sarà bene ricordare che perfino il brivido alla King Kong pretende la sua parte al momento del caldo africano e della caduta dei freni inibitori. E qui, chissà come, mi torna in mente “Teorema” di Pasolini, quando l’industriale interpretato dall’altrove assai compunto alla camomilla Massimo Girotti, dopo avere donato la sua fabbrica agli operai, si denuda interamente sotto la volta d’acciaio della Stazione Centrale di Milano iniziando da lì il suo cammino di liberazione interiore e sociale, come in un’ascesi mistica.
Nella meravigliosa azione che corrisponde all’andare in giro nudi, filosoficamente parlando, c’è molto di più di una semplice effrazione all’indecenza. A volte è solo la consapevolezza di una panza di troppo dal trattenerci dal farlo anche noi. E poi non c’è davvero bisogno di amare Antonin Artaud, l’immenso santo folle del teatro, per intuire che la nudità è comunque un atto rivoluzionario, “Niagara”, cioè soda caustica che stura i tombini dell’ipocrisia.

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