Razzismi in Tv: ha vinto Belpietro, ha perso Raimo

Nella sua polemica con Belpietro, i razzismi, i presunti ”fascismi”, Christian Raimo non è riuscito a fare di meglio che accampare una posizione identitaria, speculare a quella della destra. Senza spiegare e senza argomentare: slogan contro slogan

“No vabbè, ciao, ciao, è stato bellissimo e sono felicissimo, ciao, s’aribbeccamo, devo annà a cena, me diverto di più a cena”: così si è congedato Christian Raimo, giornalista, dalla trasmissione “Dalla vostra parte” di Maurizio Belpietro, su Rete4, non appena Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, ha detto “Nel Corano c’è scritto di uccidere l’infedele”. Sdegnarsi anziché argomentare è una pratica (tattica?) dialettica indiscutibilmente efficace: la campagna elettorale di Donald Trump lo ha dimostrato.

Quando, in apertura della puntata, dopo quattro servizi che ricostruivano recenti fatti di cronaca (in ultimo il commento su Facebook di un mediatore culturale sullo stupro) in modo che dimostrassero una tesi precisa (e cioè: gli immigrati sono pericolosi), Belpietro ha domandato a Raimo se il politicamente corretto impedisca di dire che gli stranieri delinquono, lui ha risposto che la messa in onda di quei servizi dimostrava esattamente il contrario: si può fare eccome. Ineccepibile. Poi, ha mostrato un cartello su cui era scritto “fate una televisione razzista e islamofoba”: “così si capisce meglio”, ha aggiunto. Sull’altro cartello che, invece, ha mostrato mentre si discuteva dell’emergenza abitativa (corteggiando la solita tesi secondo cui il governo abbandona gli italiani e sistema gli immigrati), dopo aver riportato i numeri esatti di sfrattati e abusivi a Roma, era scritto “non ciavete un altro servizio sui negri cattivi?”.

Alla televisione irresponsabile e faziosa di Belpietro, Raimo ha prestato il fianco, rendendosi indisponibile a discutere e ragionare sin dal principio, opponendo slogan (con tanto di cartelli) ad altri slogan

Ciascun intervento di Raimo ha insistito sulla mancanza di approfondimento, dati, analisi dell’informazione offerta dalla trasmissione e l’ha fatto irridendo i suoi interlocutori (a Belpietro: “non ho mai visto una tv così brutta”; a Sallusti: “mi dispiace che lei diriga un giornale, ma la rispetto perché è anziano”) e indicando un modo più serio di fare giornalismo (nello specifico: quello della testata per cui lavora lui, Internazionale), senza, tuttavia, mai metterlo in campo; pennellando l’alternativa senza mai fornirla davvero. Agli spettatori è stato servito un regolamento di conti, un’informazione azzerata in favore dell’emozione, un’altra parabola sulla meccanica confermativa in cui la comunicazione sembra destinata a ingolfarsi, in tv, sui giornali, sui social network. Alla televisione irresponsabile e faziosa di Belpietro, Raimo ha prestato il fianco, rendendosi indisponibile a discutere e ragionare sin dal principio, opponendo slogan (con tanto di cartelli) ad altri slogan.

Giulia Innocenzi, nuova direttrice di Giornalettismo, ha scritto che “Raimo ci ha fatto sognare” quando ha interrotto il collegamento dicendo “devo annà a cena”. Non è stata la sola: un vasto numero di persone ha giudicato addirittura eroico il comportamento tenuto dal giornalista.

Un vasto numero di persone che era già dalla sua parte, che non aveva bisogno di essere convinto dell’assoluta inopportunità di affermare che gli immigrati islamici ammazzano in ottemperanza al Corano, che è se non consapevole di certo sensibile alla complessità dei fenomeni che stanno sconvolgendo l’assetto del nostro tempo e che scambia la propria ragionevolezza con la sola ragione possibile, così trasformando la ragione in un plebiscito, anzi: in un partito.

Rispondere “Me diverto de più a cena” al direttore di un giornale che è abilissimo a ridurre la realtà a una esemplificazione di teorie arbitrarie, significa liquidare non lui ma le paure delle persone che lui cavalca e, certamente, coccolare quelle che, invece, hanno già smascherato quella riduzione

Quando il dottor Roberto Burioni risponde agli antivaccinisti che la scienza è affare degli scienziati, che è discutibile ma non opinabile e lo fa deridendo le loro assurde obiezioni basate sul niente, commette un grave errore di comunicazione: conforta chi sta dalla sua parte, rafforza la sua echo-chambers, ma respinge e allontana chi non è d’accordo con lui, ovvero (qui sta il cul de sac) le persone in ragione delle quali sceglie di smascherare, ogni giorno, le teorie fantascientifiche che vedono nella medicina non più un alleato dell’uomo, ma un suo tiranno.

Raimo ha commesso il medesimo errore: ha usato la sua competenza come un trono e non come un motore. Ha immediatamente tracciato una distanza tra lui e i suoi interlocutori, dichiarandola incolmabile, senza curarsi del riverbero sul pubblico in disaccordo con lui, il pubblico di Belpietro, che quello iato lo ha percepito come disprezzo. Rispondere “Me diverto de più a cena” al direttore di un giornale che è abilissimo a ridurre la realtà a una esemplificazione di teorie arbitrarie, significa liquidare non lui ma le paure delle persone che lui cavalca e, certamente, coccolare quelle che, invece, hanno già smascherato quella riduzione. “Webete” di Mentana e “la scienza non è democratica” di Burioni non spostano le posizioni di nessuno, non esortano alcun ragionamento, non disinnescano niente di niente: sono solo un modo assai vanesio di dire “con voi non abbiamo niente a che fare, parlarvi è inutile se non state dalla nostra parte”. Esattamente come i cartelli sul razzismo e l’islamofobia della tv di Belpietro.

A trasmissione conclusa, Raimo ha pubblicato un lungo post su Facebook nel quale ha spiegato con accorta minuzia le ragioni della sua reazione, ha annunciato che avrebbe risposto a tutti gli insulti ignominiosi che gli stava recapitando mezza nazione, ha descritto il meccanismo di induzione al terrore su cui la trasmissione era costruita, ha sostenuto che il razzismo viene non semplicemente rintuzzato ma addirittura generato da quel tipo di giornalismo e che l’ignoranza che quel giornalismo perpetra è fascismo. Citando Bolano, che temeva il vuoto della sinistra, dando per scontato quello della destra, ha poi concluso: “Sta a noi di sinistra, semplicemente democratici, antifascisti, pensanti, fare argine a tutto questo”.

Nei giorni scorsi, Pierluigi Battista ha scritto sul Corriere della Sera che il ritorno del fascismo è una fake news, un allarme infondato che viene lanciato ogni volta che “non si capiscono le cose che accadono e si cerca di addomesticarle nelle categorie più abusate”. Il fascista e il nazista sono nemici confortanti perché già noti e il già noto, spiega Battista, “per quanto orribile, rassicura, culla, ringiovanisce, crea l’illusione che il mondo non sia definitivamente cambiato”.

Negli anni Cinquanta, Leo Strauss parlava di “reductio ad Hitlerum”, intendendo indicare l’abitudine di squalificare un interlocutore dandogli del nazista e, in definitiva, emarginandolo. In parecchi commenti al post di Raimo si legge “sono fascista e me ne vanto”: la reductio ad Hitlerum non funziona più da una parte perché le formule e le abitudini retoriche hanno sempre vita breve e dall’altra perché in tutti, persino nei webeti, è permeata almeno una consapevolezza: il fascismo proibisce e censura la sua denuncia. Quando si urla al fascismo, si è in democrazia.

Oltre al conforto stanato da Battista, sostenere il ritorno del fascismo crea una identità specifica: per questo Raimo scrive che tocca alla sinistra intervenire, come se antifascismo e antirazzismo fossero connotazioni di una parte politica e non princìpi politici, umani, universali. Mentre si sancisce la fine della destra e della sinistra, Raimo trova questo appiglio e dice: noi di sinistra siamo migliori, siamo più umani, siamo quelli che arginano la barbarie. È una posizione del tutto coerente con l’atteggiamento tenuto da Belpietro: io sono il buono per procura e tu sei il cattivo per procura, è un fatto antropologico, d’appartenenza, di destino.

Oltre al conforto stanato da Battista, sostenere il ritorno del fascismo crea una identità specifica: per questo Raimo scrive che tocca alla sinistra intervenire, come se antifascismo e antirazzismo fossero connotazioni di una parte politica e non princìpi politici, umani, universali

Anche il razzismo è un fattore identitario: il suo germe è l’odio per il diverso. Anche l’antirazzismo che Raimo propone come fattore identitario della sinistra ha dentro un germe di odio: le migliaia di condivisioni del suo post, idiotamente censurato da Facebook (che, comunque, è la cosa peggiore che ti possa accadere, nel nostro fascismo: in quelle vero, finivi al confino, quando andava bene), ne rafforzano la violenza, per molti dichiarata un atto di Resistenza. In polemica con Calvino, secondo il quale con i fascisti non di doveva discutere, Pasolini scrisse che bisognava, invece, badare a non comportarsi “razzisticamente coi razzisti”. Se c’è un compito che spetta ai “pensanti” è interrogarsi sulla parte di responsabilità che, come tutti, hanno nel dilagare dell’odio. Dei fascisti che lo aggredirono per strada, Pasolini scrisse che lo colpiva non la violenza ma l’automa, sentendo il drammatico peso di non averlo saputo disinnescare.

Se Raimo, anziché un cartello sarcastico, avesse scelto di usare parole ragionevoli, avrebbe evitato di trattare il pubblico di Belpietro come un pubblico di automi e, forse, anche solo un salviniano lo avrebbe portato dalla sua parte. Ma non era questo che gli interessava: era lì per rifondare la sinistra. Auguri.

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