Si sa ancora poco dell’offerta arrivata a Fca da un produttore di auto cinese. La notizia, lanciata dal sito Automotive News, non è stata né confermata né smentita da Fiat-Chrysler Automobiles e sta lasciando spazio per una serie di ipotesi ed elucubrazioni (anche in Borsa, dove martedì 15 agosto il titolo ha guadagnato più dell’8 per cento sulla scia dei rumors). Un’ipotesi è che uno tra i maggiori assemblatori di auto cinesi (Great Wall Motor, Dongfeng Motor Corp., Zhejiang Geely Holding Group e Gac, ossia Guangzhou Automobile Group, attuale partner di Fca in Cina attraverso una joint-venture) sia interessato ad acquisire parte di Fca: il business americano, a partire da Jeep e Ram, che hanno grande potenziale in Cina, ma anche il marchio Fiat, mentre si potrebbero scorporare dal gruppo i brand Maserati e Alfa, come due anni fa si fece con Ferrari. Una prima offerta sarebbe stata rifiutata perché ritenuta insufficiente. Fin qui le indiscrezioni, corroborate da una serie di incontri tra rappresentanti dei produttori e del governo cinesi ed Fca (dirigenti di Fca andati a incontrare in Cina quelli di Great Wall Motor e una visita di una delegazione cinese la scorsa settimana nella sede di Auburn Hills), che però potrebbero essere riconducibili ad altri accordi meno dirompenti. L’incontro più significativo è stato quello nel maggio 2016 al quartier generale di Fca nel Michigan, dove andarono il presidente di Gac, Zhang Fangyou, l’ambasciatore cinese negli Usa e diversi manager.
Prima di scartare il progetto o invocare misure protezionistiche, però, è il caso di ragionare su un paio di aspetti. Intanto sulla crescita del mercato dell’auto e soprattutto dei produttori cinesi. La Cina non è solo da diversi anni il primo mercato globale dell’auto, con le immatricolazioni cresciute in un solo decennio da 6 a 24 milioni. Ha anche un piano per diventare il primo carmaker mondiale. Ci vuole arrivare attraverso lo sviluppo dell’auto elettrica, con una mossa del cavallo che potrà permetterle di superare gli ostacoli storici rappresentati dagli standard di Europa e Stati Uniti sulle emissioni dei motori a scoppio. Negli scorsi anni una serie di joint-ventures di produttori occidentali con operatori cinesi ha permesso ai marchi del Paese asiatico di acquisire sempre maggiore know how tecnologico. Quello che manca, oltre a ulteriori passi avanti tecnologici, è lo sviluppo nel mercato occidentale e statunitense in particolare. L’acquisizione di know tecnologico, anche attraverso acquisizioni all’estero, è uno dei pilastri del piano Made in China 2025, e recentemente, lo ha ricordato Bloomberg citando un report dello studio legale Linklaters, il governo cinese ha esortato le imprese a effettuare acquisizioni maggiormente mirate a questo fine, come quella dell’azienda di robotica tedesca Kuka e la stessa Pirelli italiana. Quanto allo sviluppo nel mercato Usa, basti ricordare che Fca si appoggia su una rete di 2.600 distributori nei soli Stati Uniti, che si sommano a 162 impianti (di vario tipo) e 87 centri di ricerca in giro per il mondo.
La Cina non è solo da diversi anni il primo mercato globale dell’auto. Ha anche un piano per diventare il primo carmaker mondiale. Ci vuole arrivare attraverso lo sviluppo dell’auto elettrica, con una mossa del cavallo che potrà permetterle di superare gli ostacoli storici rappresentati dagli standard di Europa e Stati Uniti sulle emissioni dei motori a scoppio
Prendiamo ora il punto di vista di Fca. Negli ultimi anni è riuscita a vincere grandi sfide: incrementare le vendite e i margini, sviluppare nuovi modelli di successo, rilanciare marchi come Jeep (ma anche Alfa, sebbene il processo sia iniziato da meno tempo). Quello che è mancato era, in primo luogo, un accordo con un grande produttore, cercato inutilmente da Sergio Marchionne, ad di Fca Group, soprattutto con Gm per raggiungere una dimesione ottimale vista la maggiore competizione internazionale. Ma mancavano altri tre aspetti: lo sviluppo della tecnologia per la guida autonoma; lo sviluppo di auto elettriche; un ingresso paragonabile a quello dei concorrenti europei, tedeschi in primis, nel mercato cinese. Sul primo aspetto i passi avanti sono stati notevoli. Nel maggio 2016 è stato siglato un accordo con Waymo, società del gruppo Alphabet, capogruppo di Google. Del 16 agosto è poi la notizia di un’alleanza con Bmw, Intel e Mobileye per lo sviluppo di una piattaforma tecnologica per la guida autonoma. Per capire l’importanza dell’affare, basti ricordare che lo scorso marzo Intel sborsò ben 15,3 miliardi di dollari per la società israeliana Mobileye, la quale copre da sola il 70% del mercato globale dei sistemi anticollisione e di assistenza avanzata alla guida. All’epoca la collaborazione sembrava coinvolgere la sola Bmw.
Per Fca rimane indietro lo sviluppo dell’auto elettrica. Sergio Marchionne, ad di Fca Group, ha più volte sostenuto che i tempi non fossero maturi perché ogni modello elettrico prodotto comportava importanti perdite. Secondo alcuni osservatori questo gap si potrebbe ridurre in fretta grazie al know how di Magneti Marelli. È inoltre minore la sua presenza nel mercato cinese rispetto a produttori come Volkswagen: tra i primi 100 modelli di auto e i primi 100 modelli di Suv e Crossover venduti in Cina, lo scorso luglio se ne contavano 23 frutto di joint-venture tra Vw e case cinesi e solo tre di Fca, tutti a marchio Jeep. Fca opera con una joint-venture con Gac, Guangzhou Automobile Group, con cui produce, oltre a tre modelli di Jeep, la Fiat Viaggio e la Fiat Ottimo. Proprio il direttore generale di Gac, Wu Song, in occasione della visita nel Michigan del maggio 2016 aveva detto: «Lo sviluppo di Fca in Cina ha richiesto il nostro sostegno; ora per la nostra espansione nel mercato americano puntiamo sull’aiuto di Fca» (lo aveva ripreso Il Giornale).
Fca in questi anni ha fatto salire vendite e margini, ma è rimasta indietro su auto autonoma, motori elettrici e sviluppo in Cina. Sul primo fronte ha recuperato terreno. Un accordo ben gestito con un gruppo cinese potrebbe permettere di ridurre il gap con gli altri produttori anche sugli altri due fronti
Potrebbe questa essere una strada che porti vantaggi anche per Fca? Dipende da che piega prenderà l’accordo. Se si trattasse di una fusione, si potrebbe creare un grande gruppo mondiale attivo su tre continenti, con vantaggi complementari per tutti in termini di tecnologia e mercati. I problemi potrebbero essere di tipo occupazionale e di tipo politico. Sul fronte occupazionale la partita potrebbe non essere semplice, ma ci sono precedenti, come quello di Pirelli, in cui è stata garantita la tenuta occupazionale. Nel caso di Kuka sono stati garantiti anche posti chiave ai tedeschi nella governance della società. Bene fa un sindacalista come Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl, che proprio sugli accordi rispettati di Fca in Italia ha costruito la propria credibilità, a cominciare a tenere alta la tensione sul possibile deal, perché accordi come quello di Pirelli si ottengono dopo un robusto confronto. In un caso del genere il principale ostacolo sarebbe probabilmente l’opposizione dell’amministrazione Usa e del presidente Trump, che potrebbe opporre barriere di tipo protezionistico anti-cinese a un accordo. Dalla sua avrebbe il fatto che il salvataggio di Chrysler, propedeutico all’acquisizione da parte di Fiat, fu realizzato grazie ai soldi dei contribuenti americani. Anche sul fronte europeo crescono le richieste di una maggiore protezione dalle acquisizioni cinesi che comportano uno spostamento di know how. Il Financial Times ha anticipato che il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker annuncerà a settembre l’adozione di alcune misure restrittive verso i takeover, volti a limitare le acquisizioni extraeuropee in settori ad alta tecnologia. Lo stesso presidente francese Emmanuel Macron ha nel suo programma misure protezionistiche come il Buy European Act, sebbene sul fronte automobilistico la presenza in Psa del gruppo Dongfeng sia un precedente difficile da ignorare.
Diverso è il caso di uno scenario in cui i cinesi dovessero acquisire un controllo pieno su Fca, interessandosi principalmente al mercato americano e, dopo lo scorporo di Maserati e Alfa, dovessero abbandonare a se stesso il marchio Fiat. Per gli azionisti di Exor usare la cassa della vendita di Fiat e Chrysler (lasciandosi alle spalle i margini risicati delle auto piccole) e puntare sullo sviluppo di Maserati e Alfa potrebbe essere una scommessa con opportunità (più margini) e rischi (uscire da un grande gruppo globale). Le conseguenze occupazionali potrebbero essere maggiori. Molto dipenderà da chi sarà il successore di Marchionne, nel 2018. Rumors parlano di un nuovo Ceo statunitense, che potrebbe essere meno sensibile al futuro dell’industria italiana.
Ma, allo stato attuale, sono ipotesi non corroborate da fatti concreti. Fonti vicine all’operazione fanno sapere che la fuga di notizie degli ultimi giorni ha reso più difficile l’operazione, perché in questi casi il prezzo di acquisto tende a salire.
Potrebbe questa essere una strada che porti vantaggi anche per Fca? Dipende da che piega prenderà l’accordo. Se si trattasse di una fusione, si potrebbe creare un grande gruppo mondiale attivo su tre continenti, con vantaggi complementari per tutti in termini di tecnologia e mercati. I problemi potrebbero essere di tipo occupazionale e di tipo politico