Che noia il gay conformista Willwoosh, ridateci l’omossessualità alla Malgioglio

Il coming out dello youtuber Guglielmo Scilla vuole compiacere i paradigmi quotidiani, eterosessuali, normosessualiì. Mentre Malgioglio se ne frega e detesta l'idea essere "normale". Da quella differenza lui ha tratto canzoni, audacia, coraggio e curiosità

“Le cose che mi piacciono sono le ciliegie, il sushi, i libri, il rumore della pioggia, il cazzo, Londra, le stelle…”. Così, in un video di pochi minuti intitolato COMING OUT (Clickbait), Guglielmo Scilla ha dichiarato di essere gay.

Lo ha fatto poche ore prima che cominciasse Pechino Express, di cui è concorrente, in modo che la sua omosessualità – ha spiegato – non diventasse “il caso del programma”, ottenendo, però, che lo diventasse la dichiarazione della sua omosessualità. Più di un milione di visualizzazioni e il plauso di stampa e opinione pubblica hanno segnalato l’apprezzamento per “la normalità del gesto”, la nonchalance, la sicurezza con cui Scilla, conformemente ai modi di comunicazione che lo hanno reso famoso (da youtuber a conduttore radiofonico), ha deciso di farci conoscere i suoi gusti sessuali.

Niente travagli interiori, ricordi di un’oppressione, posizione della famiglia, ragioni etiche che l’hanno spinto a esporsi: solo “volevo raccontarvi qualcosa in più di me, comincio dalle dieci cose che mi piacciono di più”. Il gusto sessuale è solo un gusto tra tanti, non colloca, non identifica, non tempra, non plasma.

Qualcuno ha definito “molto moderno” il coming out di Scilla, perché esemplifica il fatto che le preferenze sessuali non influiscono su chi siamo e, soprattutto, che l’omosessualità non è un’uniforme, un segno distintivo, una rivendicazione. L’amore non ha confini, barriere, generi: è così che vince (è la lezione che segue ogni varo del matrimonio gay nel mondo). Vedi questo ragazzo pacato, bonario, pulito, refrattario alla polemica e pensi che finalmente l’omosessuale in tv non è più una macchietta, un cliché, una parata, una provocazione: è una persona normale, è come te.

E’ tutto così giusto che ti annoi e cambi canale. E trovi Cristiano Malgioglio che, nella cucina del Grande Fratello VIP, alle nove e mezza del mattino, con addosso l’accappatoio turchese, il cappuccio tirato su e gli occhiali da sole, prepara il caffè a Daniele Bossari – che voleva prepararselo da solo, ma niente da fare, tesoro, ma dai, dimmi cosa preferisci, un caffè e basta, sei sicuro? – e chiede a Serena Grandi: “tesoro, secondo te esiste il caffè gay? Sarebbe buonissimo, dolcissimo”.

E ti diverti. E ridi. E non cambi canale. E non perché Malgioglio sia una macchietta prestata all’appropriazione culturale, ma perché Malgioglio non solo se ne frega di essere come te, ma detesta l’idea di poter essere come te, tanto che vorrebbe un caffè diverso dal tuo, un caffè gay.

Non chiede di essere accettato, non vuole scomparire dentro una naturalezza che non lo include (la tua) ma gli farebbe il favore di accoglierlo. Malgioglio non vuole essere accolto. E’ un esibizionista, un eccentrico, un rompipalle, una casalinga disperata

Non chiede di essere accettato, non vuole scomparire dentro una naturalezza che non lo include (la tua) ma gli farebbe il favore di accoglierlo. Malgioglio non vuole essere accolto. E’ un esibizionista, un eccentrico, un rompipalle, una casalinga disperata – “se continuate a fare casino urlo non come una pazza, ma come tre pazze!”.

Victor Serge, anarchico, collaboratore di Lenin, esiliato da Stalin, racconta nelle sue memorie (“Memorie di un rivoluzionario”, edizioni e/o) che i suoi compagni anarchici ribadivano spesso di voler restare ai margini, perché solo lì non sarebbero stati contaminati dal potere, dall’autoritarismo, dal benessere: a loro, Serge, che rimase sempre in secondo e terzo piano, obiettava che la società non comprende margini. Vedi Malgioglio e pensi che la società senza margini si compia più in lui che in Scilla.

Vedi Malgioglio e ti godi il fatto che non si fa vincere dal desiderio di entrare in un apparato di naturalezza e normalità, ti godi la sua provocazione che avrà senso fino a che entrambi sarete disposti ad accettare che quello che siete dipende da chi e cosa amate. “Il bello dei nostri amori è la loro libertà e la loro riprovazione.

Voglio seguire l’istinto e la perversione, non tornare a casa e trovare qualcuno che mi chiede cosa voglio per cena”, disse Paolo Poli, che di matrimonio gay, da gay, non voleva sentir parlare: anche lui non aveva alcun interesse a venire iscritto nel circolo della normalità, né soffriva del non sentirsene parte.

L’orgoglio gay non è solo quello che sfila per chiedere l’equiparazione dei diritti, delle possibilità, delle scelte, ma pure quello che difende l’omosessualità dall’assorbimento borghese perché non vuole finire accettata nella misura in cui mostra la sua compatibilità con la normalità eterosessuale.

Quello che davvero ha toccato del coming out di Scilla è la sua compiacenza verso i paradigmi quotidiani, eterosessuali, normosessuali. Domenico Naso ha scritto su Il Fatto Quotidiano che Scilla ha avuto il merito di mostrare che la differenza tra un gay e un eterosessuale è una sola: “la predilezione per il cazzo”.

Malgioglio, invece, non ha mai smesso di ribadire che da quella differenza lui ha tratto canzoni, audacia, coraggio, curiosità, forza, provocazione, insaziabilità, leggerezza. Niente di tutto questo s’apprende o s’eredita o si assorbe mangiando ciliegie.

Quando morì Moira Orfei, Nino Spirlì, giornalista e scrittore (il suo libro più interessante è “Diario di una vecchia checca”) scrisse che lei era stata “la regina dei gay: una meravigliosa mescolanza clownesca e genuinità divina”. Una mescolanza che non s’impara ad amare amando le ciliegie, ma amando il cazzo sì.

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