De André, il cantautore anarchico che cantò per primo la parola “puttana”

Figlio della "Genova bene", raccontò gli ultimi e i disperati. Il pubblico amava il suo essere irraggiungibile

L’anarchico Fabrizio De Andrè, lo chansonniere libertario, nel ‘69 aveva ventotto anni, benestante, un po’ poeta, da due anni in testa alla classifica dei dischi longplaying più venduti in Italia. Vendeva più longplaying lui di Mina, di Celentano, di Morandi, dei Beatles.

Scriveva e cantava canzoni difficili, irripetibili, letterarie, piene di parole ottocentesche. Qualsiasi cosa De André proponesse, qualsiasi parolaccia fosse contenuta nei suoi versi, non c’erano dubbi, il disco sarebbe arrivato certamente a cinquantamila copie: il massimo che il mercato italiano potesse a quell’epoca ingoiare. Parlava di drogati, di paura, di impiccati, di derelitti, di cimiteri, c’era di tutto, come un’indigestione di poesia.

Fabrizio era figlio dell’amministratore delegato di uno degli imperi industriali più potenti d’Europa, Eridania, la più grande società saccarifera italiana, Giuseppe De Andrè, vice sindaco di Genova col partito repubblicano, controllava i quotidiani La Nazione e Il Resto del Carlino.

Dal 1961 fino al 1963, Giuseppe De André fu socio co-fondatore della Karim, la prima casa discografica in assoluto in cui lavorò il figlio Fabrizio e partecipò attivamente al lancio della carriera del figlio, oltre che di altri artisti divenuti celebri, come ad esempio Orietta Berti nel 1962.

Negli anni ‘70 a Genova, Fabrizio doveva stare attento a girare perché i portuali lo volevano menare. Come se il figlio di Agnelli diventasse il cantante degli ultimi.

Non ci è dato sapere se uno dei motivi per cui Fabrizio divenne famoso fosse perché per primo cantò la parola puttana o perché avesse un bel tono di voce o perché rimase a lungo nella clandestinità. Sta di fatto che effettivamente la sua carriera esplose quando nel ‘67 cambiò casa discografica e tra i patti concertati a tavolino fu inserita la clausola “niente pubblicità” per Fabrizio De André, “lasciamolo nell’ombra e sarà il miglior modo per venderlo”, per costringere la gente a cercarlo. E così fu. La gente si innamorò del suo essere irraggiungibile.

Negli anni ‘70 a Genova, Fabrizio doveva stare attento a girare perché i portuali lo volevano menare. Come se il figlio di Agnelli diventasse il cantante degli ultimi.

La prima moglie di Fabrizio, morta nel 2004, si chiamava Enrica Rignon, detta Puny, era più grande di lui di dieci anni ed era la mamma di Cristiano. Ma il grande amore di Fabrizio fu Dori Ghezzi e fu Cristiano Malgioglio a presentarli, una sera in cui Fabrizio era giù di morale. Malgioglio gli propose di uscire insieme a Milano ‘C’e’ anche la mia amica Dori Ghezzi’, ‘Chi, quella che somiglia a Brigitte Bardot?’. In pochi giorni scoppio’ il loro amore e si sposarono non appena Dori rimase incinta di Luisa Vittoria (Luvi), con Beppe Grillo come testimone.

Nel 1979 Fabrizio e Dori vennero rapiti dall’anonima sarda e tenuti sotto sequestro per 4 mesi. Intervenne il facoltoso padre a trattare il riscatto. Sborsò 550 milioni di lire, i dodici rapitori (tutti uomini) furono poi arrestati e condannati nel Novembre 1985. Dall’esperienza del rapimento De André scriverà la canzone “Hotel Supramonte”.

A livello di marketing discografico, la riuscita di Fabrizio De Andrè fu che i discografici, gli editori, avevano capito che l’artista piaceva al pubblico per quel che era, per le stramberie che presentava. E gliele lasciavano fare. Gliele lasciavano fare, quelle canzoni, non perché fossero belle o brutte, ma perché erano legate a un personaggio.

Chiunque altro, uno qualsiasi, uno sconosciuto si fosse presentato a un editore con testi e musiche di canzoni come quelle di De Andrè lo avrebbero sbattuto fuori a calci. Lo avrebbero preso per matto.

Chiunque altro, uno qualsiasi, uno sconosciuto si fosse presentato a un editore con testi e musiche di canzoni come quelle di De Andrè lo avrebbero sbattuto fuori a calci. Lo avrebbero preso per matto.

Avere rilevanza ancora prima di lanciare un prodotto, oggi ancor di più, ha un’importanza enorme. Cosa che, d’altronde, fece anche Adriano Celentano. Uscire prima come personaggio che come artista. Lui, un cantautore di prima razza. Non per niente mise su una casa discografica per proprio conto. Che cosa facevano Celentano e De Andrè…Raccontavano…ragionavano.

Nella discografia lanciare qualcuno che non ha già una propria rilevanza è un’impresa titanica. Anzi non lo fa più nessuno. Scordatevi i talent scout, scordatevi i colpi di culo. De Andrè si impose sul suo essere anarchico, cantava gratis per gli anarchici di Genova e Carrara.

Un altro che tentò di buttarla sulla strada dell’anarchia fu Francesco Baccini, comunque abbastanza personaggio per avere una propria identità.
Ma pur sempre il secondo a seguire questa strada.

E Baccini anarchico lo era sul serio, con tutte le carte in regole. Orfano di padre, ex camallo, uno che dormiva dentro la macchina a Milano d’inverno pur di perseguire un sogno. Non un anarchico fronte mare. D’altronde, “Intelligenti in casa ne basta uno”… In effetti, avete mai visto una persona intelligente stare con un’altra intelligente?

E’ troppo difficile, bisogna essere molto intelligenti.

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