Diventa anche tu cittadino delle isole di spazzatura galleggianti ( è una buona causa)

Una petizione (con raccolta firme) chiede all’Onu di riconoscere le Trash Island, cioè le distese di spazzatura che infestano gli oceani, come il 196esimo Paese. Avrebbe anche il suo passaporto, la sua moneta e perfino la nazionale di calcio

Potrebbero essere, prese tutte insieme, un nuovo Paese. È la provocazione di alcune associazioni ambientaliste come LADbible e Plastic Ocean Foundation, che chiedono all’Onu di riconoscere le isole di spazzatura galleggianti nell’Oceano come la 196esima nazione del pianeta. Si sconfina nell’assurdo, certo. Ma la provocazione ha un obiettivo chiaro: portare all’attenzione di tutti la questione delle Trash Islands, le isole pattumiera.

È una petizione: si raccolgono firme per rivolgersi al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e, volendo, diventare anche i primi cittadini delle Trash Island. Tra i primi testimonial c’è Al Gore, da sempre in prima fila quando si tratta di questioni ambientaliste (e forse, stavolta, riesce anche a diventare presidente di una nazione, non importa se fittizia). Perché, come ogni Paese che si rispetti, anche le Trash Island, una volta ottenuto lo status di nazione, avrebbero la loro moneta (sono già state disegnate le banconote), il loro passaporto (anche questo già pensato) e inno nazionale (in arrivo). Non mancano anche progetti per elezioni e squadre di calcio nazionali.

Tutto provocatorio, certo. “Ma non ridicolo”, sostengono i promotori dell’iniziativa. Le Trash Island occupano una superficie dell’Oceano pari all’area della Francia, devono diventare una preoccupazione per tutti.

Ma attenzione: rappresentare queste distese di spazzatura come un continente è sbagliato. Perché, in primo luogo, non sono visibili dall’aria. Sono, più o meno, un’enorme “minestra” di miliardi di frammenti di microplastica, più piccoli di cinque millimetri prodotti dalle normali e inquinanti attività umane. (guidare una macchina, ad esempio. O fare la lavatrice). Sono, in sostanza, residui di polietilene, polipropilene e polietilene tereftalato, impossibili da distruggere per i microorganismi, che restano a galleggiare per sempre, inquinando il mare. E forse, presto, diventando anche un nuovo Paese.

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