Anna Zucca, la signora che la settimana scorsa ha scritto una lettera a Jovanotti, ricevendo risposta, ha chiuso il suo profilo Facebook perché subissata di richieste di amicizia. “Non amo le platee sconfinate, finiamo questo bel gioco”, ha scritto per sottrarsi alla mitizzazione estemporanea per futili motivi. Il gioco è stato questo: la signora ha scritto uno status in cui incolpava Jovanotti di scrivere canzoni d’amore troppo d’amore e diseducare “mia figlia e una intera generazione di giovani donne” alla realtà, dove non esistono né ragazze magiche, né ragazzi magici e quando apri la finestra non trovi nessuno che ti canta una serenata appeso a una trave a mezz’aria, ma al massimo il vicino di casa in mutande che si gratta il culo. Di condivisione in condivisione, le parole della signora Anna sono arrivate al cantante, che ha risposto (in sintesi): sono uno stronzo come tutti gli altri, ma continuerò a scrivere di ragazze magiche perché “posso provare che miei pezzi sono realistici, sono documentari in musica più che canzoni”. Il post della signora ha ricevuto centinaia di commenti e condivisioni per due ragioni: si prestava al rimprovero para-morale e para-educativo di una presunta incapacità di insegnare a tenere i piedi per terra e denunciava, in modo semiserio ma efficace, l’irrealismo e l’idealizzazione. L’insofferenza verso entrambi ha una storia molto lunga di gestazioni e formulazioni.
L’istanza realistica attuale, al pari di quelle precedenti (si pensi, banalmente, al romanzo verista), richiede un’adesione, il più possibile coerente, alla realtà quotidiana. La richiede alla politica, al cinema, alle relazioni e pure alle canzoni. Sta però accadendo qualcosa di bizzarro: questa adesione viene riconosciuta come effettiva solo quando la realtà che restituisce (fotografa?) è violenta, mediocre, brutta.
Fatichiamo a credere alla bellezza perché fatichiamo a distinguerla dai trucchi che la potenziano (photoshop, la chirurgia estetica, i filtri di Instagram) e questa fatica sembra ci stia portando a considerarla, in sè, un’impostura. La signora Anna Zucca, quando contesta a Jovanotti di scrivere canzoni troppo romantiche, parte dal presupposto che un compagno premuroso, innamorato, gentile, magico non esista e non possa esistere. La risposta di Jovanotti è perfetta proprio perché insiste su questo punto: la realtà comprende la bellezza e sottolinearlo non significa idealizzarla o canonizzarla, ma renderci capaci di vederla e, quindi, di suscitarla. Smettere di aspettarsi una serenata non è un gesto di realismo, ma di omologazione della realtà non alle sue possibilità effettive (assai vaste), ma a quelle più ordinarie, corrive, prevedibili.
La signora Anna Zucca, quando contesta a Jovanotti di scrivere canzoni troppo romantiche, parte dal presupposto che un compagno premuroso, innamorato, gentile, magico non esista e non possa esistere. La risposta di Jovanotti è perfetta proprio perché insiste su questo punto: la realtà comprende la bellezza e sottolinearlo non significa idealizzarla o canonizzarla, ma renderci capaci di vederla
Un cantante non ha alcun dovere o debito nei confronti della realtà e quando Jovanotti canta la sua serenata rap, “un’intera generazione di giovani donne” non è solo trasportata dentro un sogno, ma pure chiamata a renderlo possibile. Siamo quello che sogniamo. L’anelito ci rende vivi: la sua mancanza intorbidisce lo sguardo.
Sembra paradossale, eppure questa declinazione del realismo è una miopia funzionale più al disincanto che alla consapevolezza. Se stiamo riscrivendo le favole – processo che ha i suoi meriti ma pure le sue aberrazioni – perché non vogliamo impartire modelli, ma scelte, non possiamo impigrire le nostre aspettative sul reale, escludendo, dal rapporto che con esso intratteniamo, l’incanto. Non si tratta di decidere cosa sia più reale, tra bello e brutto o cosa sia più autentico, tra romanticismo e pragmatismo: si tratta di mantenere intatta e ferma l’idea che la realtà muta anche a seconda del nostro intervento su di essa. Se dal mondo ci aspettiamo che sia solo una fabbrica di vicini di casa che si grattano il culo, il mondo assomiglierà sempre di più a una fabbrica di vicini di casa che si grattano il culo. Essenzialmente perché saremo capaci di vedere solo vicini di casa che si guardano il culo, ritenendo irreali e non credibili individui diversi.
L’ultimo spot della Diesel esemplifica in modo perfetto che il punto cruciale nel rapporto nuovo che stiamo istruendo con i fatti, il vero, il visibile non sta semplicemente nella contemplazione del diverso e dell’imperfetto, ma nel permettere ai fatti, al vero, al visibile di stupirci, accordando a essi fiducia e curiosità.
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