Il populismo è morto. L’ha ucciso Angela Merkel

il modello post-ideologico della Cancelliera è andato oltre le vecchie categorie destra/sinistra sublimando il meglio (anziché il peggio) di entrambe. I movimenti di popolo catalogati come “populismo” e oggetto dal 2012 di un allarme ai limiti dell'angoscia hanno fallito ovunque

Le elezioni tedesche di domenica prossima chiuderanno il più controverso e complesso ciclo elettorale europeo dell’ultimo mezzo secolo, il biennio che si è aperto con la Brexit ed è proseguito con il voto austriaco, olandese e francese. E lo chiuderanno – a dar retta ai sondaggi – con la spettacolare vittoria di un modello post-ideologico esattamente opposto a quello che sembrava andare per la maggiore fino a poco fa: il modello di Angela Merkel, la leader che è andata oltre le vecchie categorie destra/sinistra sublimando il meglio (anziché il peggio) di entrambe.

Intellettuali e politologi del vecchio Continente hanno studiato con grande dispendio di energie il “Lato B” del cosiddetto populismo, quello interpretato dal Front National a Parigi, dalla Lega e da Beppe Grillo in Italia, dall’Ukip nel Regno Unito e anche dall’Afd tedesca.

Un po’ tutti i vecchi partiti ne hanno imitato e inseguito i toni e le nevrosi anti-europee. Assai meno attenzione è stata dedicata al “Lato A” e alla sua stella assoluta, la Cancelliera capace di parlare al popolo e di convincere il popolo indicando obiettivi e soluzioni anziché capri espiatori. Eppure anche lei è protagonista di un epocale rimescolamento delle categorie novecentesche, che diventa catalizzatore di aree politiche fino a ieri accasate altrove, con i socialdemocratici, i Verdi, i liberali, addirittura la sinistra estrema.

Tonia Mastrobuoni, su “Repubblica”, ha raccontato di recente come la Merkel abbia scardinato l’immutabile panorama tedesco «strappando idee, slogan, fette di elettorato agli altri partiti». Veniva da una cultura nuclearista, è diventata icona ecologista ritirando la Germania dall’atomo dopo la tragedia di Fukushima.

Veniva da un partito tradizionalista, è diventata leader libertaria con le aperture ai matrimoni per tutti e l’abolizione della leva obbligatoria. Veniva da un partito conservatore, ha conquistato l’elettorato progressista scommettendo su una gestione pragmatica e umanitaria dei flussi migratori. Il diritto all’asilo nido e il salario minimo, la correzione in favore dei lavoratori dell’Agenda 2010, la barriera opposta a chi avrebbe volentieri scaricato la Grecia, l’abbandono dell’impopolarissimo Ttip, hanno fatto il resto.

La Merkel governa e continuerà a governare, anche se con una coalizione da definire. La sua immagine speculare, Marine Le Pen, probabilmente non governa e non governerà mai. Così come non governano gli estremisti austriaci o olandesi che elettrizzavano l’Europa un anno fa, o i seguaci inglesi di Farage che dopo la vittoria di Pirro referendaria sono letteralmente implosi.

Questa modalità alternativa di scavalcare le antiche categorie e di emanciparsi dalle gabbie ideologiche del Secolo Vecchio, alle lunghe, ha avuto un riscontro assai superiore rispetto al suo opposto, al “Lato B” del populismo, fondato sull’esatto contrario: la condivisione della rabbia e del rancore, l’esaltazione dei sentimenti viscerali determinati dalla crisi, la solidarietà prepolitica del ghetto e degli esclusi.

La Merkel governa e continuerà a governare, anche se con una coalizione da definire. La sua immagine speculare, Marine Le Pen, probabilmente non governa e non governerà mai. Così come non governano gli estremisti austriaci o olandesi che elettrizzavano l’Europa un anno fa, o i seguaci inglesi di Farage che dopo la vittoria di Pirro referendaria sono letteralmente implosi.

Sarebbe stupido fare bilanci preventivi: il voto tedesco deve ancora svolgersi e persino in un Paese prevedibile come la Germania sono possibili sorprese. Tuttavia, al termine di questo ciclo elettorale europeo, si può anticipare una valutazione di massima che difficilmente sarà smentita. I movimenti di popolo catalogati come “populismo” e oggetto, più o meno dal 2012, di un allarme ai limiti dell’angoscia hanno fallito, ovunque, il loro “assalto al cielo” e sono stati incardinati dal voto popolare nel ruolo dell’opposizione più o meno aggressiva, più o meno rumorosa (peraltro fisiologico e necessario in qualunque democrazia).

Le elezioni di domenica, salvo colpi di scena, sanzioneranno questo dato e obbligheranno tutti a guardarsi in un altro specchio quando parlano di politica post-ideologica e ne immaginano i connotati: uno specchio che non è collocato all’altezza della pancia ma del cervello, delle braccia, del cuore e delle ragionevoli misure necessarie per competere nel mondo senza annientare le persone.

Ps. Qualcuno potrebbe obiettare che la “vera” chiusura del ciclo sia da situare dopo le elezioni politiche italiane, nel 2018. Il sistema elettorale proporzionale, con la sua prospettiva di larghe intese, ci dice tuttavia che anche qui “l’assalto al cielo” fondato sul voto di pancia e sulla suggestione anti-europea ha scarse possibilità di successo. L’indiscrezione di Dagospia sulle confidenze di Beppe Grillo a un amico – «A Palazzo Chigi non andremo mai, dobbiamo essere come il Pci, un grande partito di opposizione» – forse è solo gossip, ma rispecchia largamente la realtà.

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