L’ultimo caso a fare scalpore è stato quello di Tropea, in provincia di Vibo Valentia, dove ad agosto è andata deserta la gara per l’affidamento del servizio di assistenza e trasporto dei bambini autistici. Il Comune aveva stanziato 65mila euro, ma non si è presentato nessuno. Mentre solo poche settimane proprio a Tropea era arrivato a nuoto da stromboli Vincenzo Notarianni, padre di un bambino autistico, per portare l’attenzione sulle difficoltà che vivono questi ragazzi.
Non sarà stata forse una buona idea stabilire la scadenza di una gara nel bel mezzo delle vacanze agostane. Ma succede sempre più spesso che le gare d’appalto bandite dai comuni vadano deserte. Nonostante la ripresa sia ancora una chimera, e le aziende italiane continuino ad annaspare nella crisi, le commissioni incaricate di valutare le proposte in molti casi non si trovano davanti nessuna offerta. Per il 2017, le gare deserte censite dall’Autorità nazionale anticorruzione sono già 899, ma l’anno è ancora in corso e le comunicazioni delle stazioni appaltanti vanno a rilento.
Il fenomeno però è in crescita, a quanto pare. A guardare i dati sulle gare superiori ai 40mila euro (al di sotto di questa cifra vige per lo più l’affidamento diretto) elaborati per Linkiesta dall’Anac, dal 2014 al 2015 le i bandi deserti o senza esito sono passati dal 3,48% a quasi il 4%, con un aumento soprattutto di quelli in cui non è arrivata neanche un offerta. Le gare deserte nel 2014 sono state ben 3.205, nel 2015 3.750. E si tratta solo delle gare per le quali è stato comunicato l’esito all’Anac, che quindi non coprono il totale degli appalti. Lo scarto medio tra lotti di gara ed esiti comunicati nei due anni è di circa 50mila unità all’anno che mancano all’appello.
E poiché le comunicazioni dalle stazioni appaltanti arrivano lentamente nei cervelloni dell’Anac, i dati del 2016 e del 2017 non sono ancora considerati definitivi. Ma nel 2017 le gare scadute senza proposte da valutare sono già al 4,2 per cento del totale. Il picco di gare a vuoto si trova nei bandi per l’affidamento di forniture: nel 2014 sono state 1.591, nel 2015 1.920. A seguire i servizi, dove non si è presentato nessuno in 1.365 gare nel 2014, salite a 1.436 nel 2015.
Come spiegarsi questo fenomeno? «Le cause possono essere molteplici», spiega Antonella Fabiano, esperta di appalti dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani). «La gara può non essere appetibile rispetto al mercato. Per questo quando una gara va deserta ci si deve chiedere: “Dove ho sbagliato?”. Ci possono essere requisiti troppo stringenti o una base d’asta sovra o sottostimata o un servizio di fornitura non spiegato bene. E così si riscrivono i progetti. Non a caso il presidente dell’Anac Raffaele Cantone chiede che le stazioni appaltanti siano qualificate».
A Catania, all’inizio dell’anno, è andato deserto un bando per la raccolta dei rifiuti da più di 319 milioni di euro. L’amministrazione ha riformulato il progetto, in scadenza il prossimo 13 settembre, cambiando i requisiti. Prima potevano partecipare solo le aziende che avevano già lavorato in città con almeno 315mila abitanti; ora il numero minimo di abitanti è stato ridotto a 80mila. E anche il requisito della percentuale di raccolta differenziata raggiunta nei precedenti appalti è sceso dal 39 al 31 per cento.
Dopo che una gara va deserta, l’amministrazione appaltante diventa più libera di muoversi. Cadono alcune regole e si abbassa l’asticella dei requisiti richiesti
Ma dpo che una gara va deserta, l’amministrazione appaltante diventa più libera di muoversi. Cadono alcune regole e si abbassa l’asticella. Le opzioni a disposizione sono tante: si può avviare una procedura negoziata invitando gli operatori economici, si può riscrivere il bando con prezzi e requisiti minori, si può scegliere l’affidamento diretto, spezzettare l’appalto in lotti di importo inferiore rispetto a quello che fa scattare l’obbligo della gara. E soprattutto si possono prorogare i contratti già esistenti.
Ed è qui che sorge il dubbio sul perché delle gare deserte. L’ipotesi che si scelga di fare andare una gara deserta, o peggio che gli operatori economici si accordino tra loro aspettando condizioni migliori, c’è eccome. «Le gare deserte possono anche mascherare accordi precedenti tra imprese sul territorio», spiega Fabiano. «Le imprese possono mettersi d’accordo per indurre la stazione appaltante ad esempio a mettere più soldi sul piatto o a modificare al ribasso i requisiti». E questo può succedere soprattutto in mercati con pochi operatori.
E l’abitudine al cartello nelle gare pubbliche in Italia sembra quasi un vizio, come ha testimoniato l’Antitrust nella sua relazione sul 2016. L’occhio dell’Autorità garante della concorrenza sul mercato, dopo un’estate di incendi, è caduto anche sulle sette aziende private (di cui sei italiane) che da sole gestiscono elicotteri e canadair per spegnere i roghi in tutta Italia. L’ipotesi è che le aziende si siano mosse con comportamenti anti-competitivi per spartirsi il soccorso dal cielo. In Friuli, dopo un’asta andata deserta, nel 2015 si è presentato un unico operatore, che poi si è aggiudicato il servizio.
Le gare deserte possono anche mascherare accordi precedenti tra imprese sul territorio. Le imprese possono mettersi d’accordo per indurre la stazione appaltante ad esempio a mettere più soldi sul piatto o a modificare al ribasso i requisiti richiesti
Su 433 milioni di sanzioni comminati dall’Antitrust tra gennaio 205 e giugno 2016, circa il 40% è legato a comportamenti collusivi in gare pubbliche. Sia che il committente sia lo Stato, un comune o una regione, si cerca di guidare la stazione appaltante verso condizioni più favorevoli. E in molti casi la gara deserta può essere uno strumento. La gara Rc auto per il trasporto pubblico locale, di cui già avevamo parlato su Linkiesta, ha portato nel 2016 a due sanzioni da 29 milioni di euro complessivi comminate a Unipol e Generali, accusate di aver cartello nelle gare per la copertura assicurativa dei mezzi di 15 aziende. L’accordo è andato avanti tra il 2010 e il 2014 su 58 gare, di cui 39 erano andate deserte.
Altre volte, ci può essere addirittura lo zampino della criminalità organizzata, che si muove “sconsigliando” ad altri operatori di partecipare alla gara, in modo da abbandonare la strada del bando pubblico e far lavorare poi le imprese “amiche”. È quello che sarebbe successo ai bandi regionali di gestione dei rifiuti in Sicilia tra 2008 e 2009, sui quali ha indagato anche la Procura di Palermo.
«Le stazioni appaltanti non sono la Dia, non possono pedinare né fare intercettazioni», dice Fabiano. «Ma si possono sparigliare le carte creando disequilibri nel mercato rispetto al passato in modo da renderlo accattivante anche per gli operatori esterni».