La battaglia tra islamici e induisti sulle origini del Taj Mahal

Un giudice ha respinto il tentativo di alcuni avvocati induisti di riscrivere la storia del monumento per attribuirgli origini induiste. Risale alla dominazione islamica e per questo solo gli islamici sono autorizzati a pregare sul sito

Ogni tanto ci riprovano. Stavolta i nazionalisti hindu sono stati zittiti da un giudice – e da una commissione di archeologi – che ha sancito, con la forza della legge, la verità di un fatto storico: il Taj Mahal è un monumento costruito da un imperatore musulmano. Come si poteva pensare il contrario?

Tutto ruota intorno allo scontro – sempre meno strisciante – tra maggioranza hindu e minoranza islamica in India. La lotta passa attraverso leggi discriminatorie, proteste e scontri. E non mancano tentativi di appropriazione culturale, come questo. Gli induisti vivono con sofferenza il fatto che il Taj Mahal, uno dei monumenti indiani più famosi del mondo, sia da attribuire al periodo della dominazione islamica (dal XVI al XVII secolo). Non per niente i musulmani sono gli unici autorizzati a pregare al suo interno. E allora hanno cercato di riscriverne la storia: non di opera islamica si tratterebbe, ma di creazione induista, precedente alla dominazione moghul e poi “riadattata” a mausoleo.

In particolare, spiegano i sei avvocati che hanno portato avanti la causa induista, il Taj Mahal sarebbe stato, in origine, un tempio chiamato Tejo Mahalaya dedicato alla divinità indù Shiva (gli islamici non si sarebbero nemmeno preoccupati di cambiare tanto il nome, insomma). Di conseguenza – argomentano gli avvocati – anche gli indù dovrebbero essere autorizzati a pregare sul sito.

Il giudice ha detto no. La commissione di archeologi della sovrintendenza di Agra ha respinto ogni teoria. “Si tratta di una rivendicazione insensata”, spiegano. La stessa architettura del Taj Mahal lo rivela: “La cupola e i minareti sono una caratteristica islamica che non si trova nei monumenti di epoca anteriore”. In ogni caso, la storia è antica. Già verso la fine degli anni ’80 un libro intitolato “Taj Mahal: the True Story” raccontava questa versione alternativa (e falsa) dell’origine del monumento. All’epoca l’autore aveva portato il suo caso fino alla Corte Suprema, per vederlo ogni volta respinto. Anche gli avvocati promettono ulteriori battaglie. Perché le idee, a quanto pare, sono sempre più forti dei fatti.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club