“La Turchia non entrerà mai nell’Unione europea”. Domenica, nel dibattito televisivo forse più pacato delle ultime campagne elettorali europee, Angela Merkel e Martin Schulz hanno finalmente svelato il segreto di Pulcinella: Ankara non ha mai avuto e mai avrà una chance di far parte dell’Ue.
Il candidato della Spd, il partito socialdemocratico tedesco, per recuperare i quasi 17 punti di distacco dalla sua sfidante è stato il più duro: “se vincerò fermerò i negoziati con la Turchia”. Più cauta invece la dichiarazione di Merkel, anche per proteggere da possibili ripercussioni i nove tedeschi, tra cui due giornalisti, accusati di terrorismo dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016 contro Erdogan e ancora in carcere. La cancelliera ha dichiarato di voler trovare un accordo con tutti i Paesi Ue prima di interrompere i negoziati con la Turchia
Il portavoce del presidente turco Recep Erdogan, Ibrahim Kalin, ha risposto con sette tweet, accusando i due candidati di alimentare la discriminazione e il razzismo, di essersi comportati come i populisti e di non voler parlare dei veri problemi della Germania. A parte le schermaglie diplomatiche, le dichiarazioni di Merkel e Schulz confermano la decisione presa dal Parlamento europeo lo scorso luglio, durante l’assemblea plenaria a Strasburgo, quando gli europdeputati hanno votato per il congelamento della procedura di adesione della Turchia.
Un voto non vincolante, certo, così come è ancora vaga l’idea di trovare un accordo con tutti i Paesi Ue, ma resta un dato di fatto: da 54 anni la Turchia spera in qualcosa che non accadrà mai.
Ci credono dal 1963, quando firmarono con l’allora Comunità economica europea “l’accordo di Ankara”, un patto per instaurare un’unione doganale. E da allora la Turchia è rimasta solo questo per l’Ue: un partner commerciale, niente di più.
I negoziati attivi formalmente dal 2005, grazie alle riforme di Erdogan, tra cui l’abolizione della pena di morte, quando ancora si definiva un laico liberale, non sono mai davvero iniziati. In 11 anni solo 16 dossier su 33 sono stati discussi dalle due parti e uno solo è stato completato. Ankara è riuscita a entrare solo nei parametri europei legati alla scienza e alla ricerca.
Anche se la Turchia rispettasse tutti i parametri europei, dall’economia alla sicurezza, ciascuno dei 27 Stati avrebbe diritto di veto. Compresa la piccola isola di Cipro, che ancora rivendica quasi metà del suo territorio invaso proprio dalla Turchia il 20 luglio del 1974 e da allora mai più restituito. Al suo posto, uno Stato satellite di Ankara con un nome da film di Woody Allen: la Repubblica turca di Cipro del Nord.
L’Ue ha almeno altre 79 milioni di ragioni per non far entrare la Turchia. Tanti quanti i suoi abitanti che la renderebbero il secondo Paese più popoloso dell’Unione dopo la Germania, con 82. Nel Parlamento europeo avrebbe più deputati di Francia (74) e Italia (73), facendo sentire il suo peso fin da subito.
Non solo, molti definiscono la Turchia un ponte tra Europa e Asia. Ma con solo il 3% del territorio europeo, più che un ponte sembra un gigante asiatico con le dita dei piedi bagnate nel Mediterraneo. Oltre a essere il primo paese islamico dell’Unione (83% si dichiara musulmano) farebbe confinare l’Ue con Iraq, Siria e Iran, rendendo l’Unione ancora più vulnerabile a gruppi terroristici come Daesh. Tutte ragioni che non faranno mai votare gli Stati Ue all’unanimità per la sua adesione: è troppo forte il rischio di alimentare i movimenti populisti e xenofobi nazionalisti negli Stati membri.
Il golpe di luglio 2016 ha tolto l’unica speranza agli eurofili turchi, ma anche ammettendo la deposizione di Erdogan e il ritorno a una completa democrazia, come potrebbe la Turchia promettere che non ci sarà più una svolta autoritaria a un’opinione pubblica europea ancora scioccata dalle recenti riforme di Polonia e Ungheria?
Lo stesso Erdogan in un’intervista alla Bbc, di due mesi fa, ha dichiarato non credere più alle bugie dell’Unione ma di voler comunque aspettare per vedere cosa succederà nei prossimi mesi.
Ora però, dopo le dichiarazioni dei due candidati alla Cancelleria del più influente Stato dell’Unione, la situazione è più chiara e possiamo guardarla con gli occhi della realpolitik, senza ipocrisia. Regime autoritario o no, l’Unione europea ha bisogno della Turchia per frenare l’emergenza migranti. Così come Erdogan ha bisogno di far credere di poter entrare nell’Ue per mantenere una flebile credibilità internazionale.