Lavoro, giovani sempre più precari, vecchi sempre più disoccupati

Da sempre al centro dell’attenzione, il segmento giovanile ha cominciato a dare risultati incoraggianti, ma sono sempre più contratti precari. La disoccupazione però si diffonde sempre più tra gli anziani

I numeri sono ancora piccoli, troppo piccoli, dobbiamo dirlo. Però quello che sta accadendo nel segmento dei giovani, che è da sempre maggiormente sotto i riflettori è degno di nota. Soprattutto, è degno di essere ritenuto un segnale di timida speranza.

Il numero dei 15-24 enni con un lavoro è cresciuto da metà 2015 più di tutti, più degli occupati delle altre fasce di età.

A conti fatti, 123 mila giovani in più, +12,78%, contro un +10% tra i più anziani, gli over 50, e soprattutto contro il flebile +3% totale, che sconta la prosecuzione della crisi occupazionale tra le età di mezzo: i 35-49 anni al lavoro sono diminuiti nello stesso periodo del 2,4%.

È chiaro, usando i numeri assoluti e le variazioni tra queste conta anche la demografia, perché ci sono fasce di età in cui la popolazione totale è di fatto diminuita, ed è per questo che si parla di tasso di occupazione, ovvero quanti in percentuale lavorano sul totale.

Tuttavia anche in questo caso il progresso tra i più giovani è palpabile. In poco più di due anni c’è una crescita del 2,21% tra i 15-24 enni, contro un +1,82% totale

C’è un aspetto che non può passare inosservato. Dopo anni di declino, che era proseguito anche quando il Pil aveva cominciato una impercettibile ripresa, questo recupero è iniziato subito dopo l’entrata in vigore del Jobs Act.

Certo, il cambiamento normativo un ruolo nell’aumento delle assunzioni di giovani lo ha avuto, ma molto probabilmente ciò che più ha influito è stata da un lato la decontribuzione (anche se ha riguardato per la maggior parte stabilizzazioni di rapporti lavorativi già esistenti), dall’altro la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, per cui secondo le leggi del 2014 e del 2015 non è più necessario un giustificativo della natura temporanea della mansione. Tra l’altro la somministrazione di lavoro a tempo determinato tramite agenzie di lavoro interinale non è ora sottoposta nella maggioranza dei casi neanche al limite di durata dei 36 mesi o di proporzione di lavoratori all’interno dell’azienda (il 20%) normalmente applicato.

E non è un caso che dal 2010 l’attività delle agenzie interinali è cresciuta del 66% in termini di personale occupato.

La bontà delle scelte in parte è chiaramente una questione di opportunità politica. Per esempio ci si può chiedere il perché del favore verso i contratti a tempo determinato quando l’obiettivo dichiarato dell’azione riformatrice era invece il sostegno del suo più feroce concorrente, quello a tempo indeterminato.

Quello che va però sottolineata è la realtà dei numeri.

Dal secondo trimestre del 2015 non solo il segmento tra i 15 e i 24 anni, ma anche quello tra i 25 e i 34, particolare non di poco conto, sono stati gli unici in cui la crescita degli occupati ha superato quella dei disoccupati.

Sì, perché una delle conseguenze del grande calo degli inattivi di questi ultimi anni è stato l’aumento del numero dei disoccupati in alcune fasce di età, soprattutto tra i più anziani.

Fa ancora poco notizia, perché si tratta di piccoli numeri in termini assoluti, ma tra i 55-64enni la crescita dal 2015 è stata del 23,2%, superiore anche a quella, pur molto robusta, degli occupati.

I segnali di una ripresa proprio laddove la crisi aveva colpito più duramente ci sono quindi. Ma esattamente come accade con il Pil quello che deve essere recuperato è ancora tantissimo.

Basta cambiare la prospettiva per averne un’idea: se a livello di numero totale di occupati siamo ormai tornati al livello del 2008, sopra i 23 milioni, tra i giovani sotto i 25 anni rimaniamo tragicamente indietro, il tasso di occupazione era del 24,6% 9 anni fa, solo del 17,2% oggi.

È vero, strutturalmente accade in tutto l’occidente che a causa del maggiore accesso agli studi in generale i giovani lavorino di meno. Tuttavia nel nostro Paese non si assiste certo a una corsa a iscriversi all’università: siamo contemporaneamente tra i Paesi con meno laureati e con meno giovani lavoratori, per questo questo gli indicatori relativi all’occupazione tra i giovanissimi rimangono indicativi di una congiuntura.

E allora è significativo sottolineare sia il bicchiere mezzo pieno della ripresa sia quello mezzo vuoto della sua relativa lentezza: all’attuale tasso di crescita dell’occupazione forse si tornerà ai livelli del 2008 solo tra 6-8 anni, sempre che non ricadiamo in quegli errori che ci hanno portato alla peggiore crisi economica del Dopoguerra.

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