Narcos 3, al diavolo Pablo Escobar: è il momento di Pacho Herrera

Il nuovo cattivo di Narcos è più affascinante di Escobar. Mostra, essendo gay, che le preferenze sessuali sono irrilevanti per considerarsi un vero macho. E dimostra che la tecnica (criminale) è superiore alla retorica (criminale)

C’è chi si rifiuta di guardare la terza stagione di Narcos perché è morto Pablo, c’è chi non ha guardato nemmeno la seconda perché non poteva sopportare di dover assistere all’assassinio di Escobar. La Pablo mania dura da qualche anno: interpretato da Benicio del Toro nel 2014, quest’anno presentato fuori concorso a Venezia con le sembianze di Javier Bardem, celebrato senza riserve in Narcos. Ma Netflix, nonostante la morte del Patron, non ha resistito ad un’altra stagione. E ad un’altra ancora. Mentre era in Messico alla ricerca di nuove location per la quarta, Carlos Muñoz Portal, scout per le ambientazioni esterne della serie, è stato trovato morto, nella sua auto, con il corpo pieno di proiettili. Sembra uno spin-off ma è successo davvero, la fiction (che poi tanto fiction non è) ha superato i confini ed è diventata realtà.

Mentre era in Messico alla ricerca di nuove location per la quarta, Carlos Muñoz Portal, scout per le ambientazioni esterne della serie, è stato trovato morto, nella sua auto, con il corpo pieno di proiettili. Sembra uno spin-off ma è successo davvero, la fiction (che poi tanto fiction non è) ha superato i confini ed è diventata realtà

Nelle prime due stagioni il protagonista indiscusso era il sanguinario e melò cartello di Medellin, nella terza si parla dei loro rivali storici, i sobri gentlemen del cartello di Cali. Questi uomini d’affari che si leggono e rileggono i libri dell’ex CEO di General Electrics Jack Welch, invece di sotterrare il denaro nei campi e, all’occorrenza, bruciarlo (quanta retorica), lo reinvestono in supermercati o ci pagano talmente tanto politici, militari, umili poliziotti, che raramente devono usare le armi.
Narcos è tutta coca, rotte per la coca, soldi della coca, ti sparo, puta madre, ti ammazzo la famiglia, lotta fra narcotrafficanti, lotta fra narcos e DEA, lotta fra narcos e FARC, lotta fra narcos e governo, lotta fra narcos e CIA, lotta fra CIA e DEA, lotta fra DEA e FARC, tutto così, in loop.

Più tanta retorica. La morte di Escobar è preceduta da una scena del genere di scene assenti nell’ultima stagione: Pablo, con il suo broncio pronunciato da bimbo beccato a fare una marachella, libera il coniglietto bianco indifeso della figlia – legame simbolico con la sua famiglia lontana, arroccata su un palazzo di Bogotà -, apre la gabbietta e lo molla sul prato, stacco, il coniglietto sgambetta lontano, Pablo va incontro alla sua sorte sul tetto del barrio (retorica a palate).

La morte di Escobar è preceduta da una scena del genere di scene assenti nell’ultima stagione: Pablo, con il suo broncio pronunciato da bimbo beccato a fare una marachella, libera il coniglietto bianco indifeso della figlia

Nella terza stagione c’è solo il loop senza retorica, quello che dev’essere, la tecnica. Criminale. E se non fosse morto quel cabron di Pablo non avremmo mai potuto vedere lo sviluppo della star rimasta in ombra finora: Pacho Herrera. Protagonista della scena più bella di tutta la serie. Pacho arriva con la sua banda in un localino all’aperto, devono ammazzare un narcotrafficante – tanto per cambiare, ma non lo fa subito. Prima si concede un lungo ballo.

Chiede Los Gardenias al barman, tende la mano verso il buio e non arriva una delle solite putas (le donne in Narcos sono o putas o mogli o madri) ma un bellissimo ragazzo nero. Ballano, si strusciano, si baciano più volte appassionatamente con le loro camicie floreali, tutto sotto una luce blu con pallini rosa. Alla fine del ballo Pacho spacca una bottiglia addosso al tipo da uccidere, lo lega alla sua moto (mani) e alla moto dell’altro (piedi), poi parte tranciandogli il corpo in due.

Francisco Helmer Herrera Buitrago a.k.a Pacho Herrera, nato il 24 agosto del 1951 a Palmira, è stato uno dei pochi omosessuali ad arrivare ai vertici della piramide mafiosa. Personaggio secondario che non aveva mai mostrato le sue inclinazioni sessuali nelle stagioni precedenti (solo i suoi crimini, era l’unico senza putas e senza moglie), dalle prime scene della terza si prende lo spazio: lui in una Jacuzzi (onnipresente – questo termine è quasi più abusato di “coca”) piena di schiuma con un bicchiere di champagne in mano guarda il culo di un ragazzino che sta uscendo dalla sua vasca.

Pur essendo omosessuale non libera coniglietti nel parco ma ammazza con una crudeltà quasi superiore a quella di Pablo perché lo fa con estrema freddezza. Prima di lui i maschi di Narcos erano perfettamente uguali, i codici della mascolinità stereotipata erano tutti rispettati, perfino quelli psicometrici secondo i quali la mascolinità sarebbe misurabile con una serie di qualità come durezza di carattere e successo. Poi le qualità sono diventate 56, incluse omofobia, aggressività e attitudine al sesso – che fatica essere maschi.

E un po’ di nostalgia per la comunità precapitalistica dove si poteva diventare veri maschi e vere femmine senza ridursi a pura identità sessuale ti assale. Pacho romba con la moto, ha una voce maschia, ammazza senza problemi. E, insieme, balla con il suo amichetto davanti al popolo, seduce il cameriere

​Bene, i narcos sono così. Rudi, decisi, bruschi, violenti, animaleschi con i nemici e con le prostitute, gentili e premurosi solo con le mogli, con la famiglia. Se lo sono con i membri del loro clan intermezzano sempre frasi carine con parolacce di ogni tipo, soprattutto “maricon”, checca, parola usata addirittura più di “Jacuzzi”, o “marica”, checchissima (per altro tradotta con “cacasotto”). Solo così, camuffandola, la gentilezza fra uomini non diventa ambigua.

E un po’ di nostalgia per la comunità precapitalistica dove si poteva diventare veri maschi e vere femmine senza ridursi a pura identità sessuale ti assale. Il maschio stereotipato vince, senza arrivare alle vette del sicario più cattivo dei cattivi di Non è un paese per vecchi (interpretato da Bardem – a quanto pare ha la faccia da vero maschio) che, per ammazzare, predilige uno strumento di morte inconsueto, una pistola ad aria compressa normalmente utilizzata nei mattatoi per uccidere il bestiame. Franco La Cecla in Modi bruschi. Antropologia del maschio scrive che, contro la grazia, qualità femminile per eccellenza, il maschio deve trovare un modo per “di-sgraziarsi”, e questo essere disgraziati va acquisito insieme e di fronte ad altri uomini. Il rombo della Harley Davidson, le impennate del vespino, il tono della voce.

Per non apparire pericolosamente neutri. Pacho romba con la moto, ha una voce maschia, ammazza senza problemi. E, insieme, balla con il suo amichetto davanti al popolo, seduce il cameriere, porta camicie discutibili. Parla solo una volta dei suoi gusti sessuali insieme ad un altro narcotrafficante e il compare gli fa “io non ti ho mai giudicato per questo”.

È tollerato da tutti. I narcos non si occupano di quello che gli piace a letto, non rientra nella loro politica. “El macho vive, mientras el cobarde quiere” dice il proverbio: “Il maschio vive, mentre il codardo prova a farlo”. Solo se sei un traditore non sei un maschio, diventi un ratto. Nella cultura sudamericana la “hombredad”, essere uomini, non c’entra con l’orientamento sessuale, la mascolinità precede l’identità di genere. Inserire un personaggio come Pacho in questo scenario alfa lo dimostra e modifica le caratteristiche tipiche che contraddistinguono lo stereotipo del maschio ideale. Pacho se ne fotte, e ci dice che si può essere maschi anche indossando camicette fiorate.

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