Noi ragazze che abbiamo lasciato le Barbie in un cassetto a 13 anni, noi che dovendo esibire letture adolescenziali non parleremo certo degli Harmony Serie Oro, abbiamo guardato con affettuoso stupore la commozione dei nostri amici, dei nostri fratelli, talvolta dei nostri mariti e fidanzati nel celebrare – l’occasione è stata la morte di Hug Hefner – la loro prima volta con Playboy, la loro prima Playmate, il loro primo paginone ripiegabile.
E ci siamo stupite ancora una volta (non senza invidia) delle peculiarità del mondo maschile, che riesce ad avere sedici anni tutta la vita nonostante ne abbia cinquanta e passa (talvolta molto e-passa). A noi non succede. Noi cresciamo. Il primo paio di collant non ce lo ricordiamo per tutta la vita. E se ai giardinetti c’è una minore con la bambola, non ci viene in mente di gironzolarle intorno sperando che ce la passi, come si vede fare a quasi tutti gli uomini adulti in caso di bambino con pallone.
Ieri a Milano si è aperta la Games Week, la gran fiera delle Playstation e delle X-Box – videogiochi, insomma – e tra i dati di cui si è discusso c’è l’età dei consumatori di Gta, Call Of Duty, eccetera. La fascia anagrafica più attiva è quella fra i 35 e i 44 anni, seguita da quella tra i 45 e i 54, insomma gente insediata nell’area della paternità o addirittura avviata verso la nonnitudine.
Si tenga conto che il “bello” di Gta è acchittarsi da banditi e attraversare una città investendo persone con la macchina o sparandogli addosso; Call Of Duty è l’equivalente digitale di “giochiamo ai soldatini?”. Sedici anni tutta la vita, talvolta anche tredici. E quindi è comprensibile che la sola parola “Playboy”, ancorchè associata alla morte di un vecchietto, evochi emozioni speciali e l’irrefrenabile desiderio di comunicarle al prossimo.
La Sindrome dello Spogliatoio di Calcetto (potremmo chiamarla così) non è fondata sul ricordo o sulla nostalgia del passato ma su un concreto sentimento dell’oggi, cioè sulla persistenza dello stesso immaginario, degli stessi desideri, più o meno dalla prima media fino all’età della pensione.
La Sindrome dello Spogliatoio di Calcetto (potremmo chiamarla così) non è fondata sul ricordo o sulla nostalgia del passato ma su un concreto sentimento dell’oggi, cioè sulla persistenza dello stesso immaginario, degli stessi desideri, più o meno dalla prima media fino all’età della pensione.
C’è un’intera industria che ruota intorno all’immutabilità emotiva dei maschi, a cominciare dal noleggio campi per le partitelle a tarda notte, nel gelo, sotto sfocati riflettori, con l’erba sintetica che brucia le ginocchia. Tornano da lavoro, si cambiano, giocano, poi ne parlano per tutto il giorno dopo, talvolta per l’intera settimana. Beati loro. Forever young, senza complessi. Non a caso i quotidiani sportivi mandano ciclicamente in edicola album calciatori che non sono più cose per bambini ma intrattenimento per plurilaureati, professionisti, operai specializzati.
Bisogna fare riferimento a quella Sindrome per capire cose che altrimenti risulterebbero inspiegabili. Ad esempio. Le signore guardano la foto di presentazione del nuovo Gazebo (che si chiama “Propaganda” e va in onda da ieri su La7) con 11 uomini in piedi davanti al fotografo e ci vedono qualcosa di stonato, talvolta si arrabbiano: possibile che non ci fosse una donna per fare una qualsiasi delle 11 cose che fanno questi? Ma non è questione di maschilismo. A loro sembra normalissimo. Mica chiami una donna quando fai la squadra per il Fùtbol Club. E tutta la storia del tetto di cristallo – l’invalicabile soffitto frapposto alle carriere delle donne – forse è soltanto questo: il disagio di veder entrare una ragazza nello spogliatoio, di parlarci, e magari di dover smettere di tirarsi calzini puzzolenti per scherzare.
Noi signore che abbiamo lasciato le Barbie in un cassetto a 13 anni forse non possiamo capire fino in fondo. Crescendo, tendiamo a vergognarci di alcune cose del passato. Molte non ammetterebbero mai di aver pianto per la morte di Beth di Piccole Donne, o di aver sospirato con Angelica alla Corte del Sultano, e figuriamoci se parleremmo in pubblico degli impresentabili languori per Ridge di Beautiful. Noi siamo donnine responsabili, adulte, tra giovinezza e maturità abbiamo messo a registro i freni inibitori. E però, che invidia, che voglia di dire “Beati loro, come è più semplice la loro vita”.