Referendum in Lombardia e Veneto, cronaca di una farsa annunciata

Non si sa dove si vota, né come si vota, né tantomeno cosa succederà dopo. Non bastasse, nemmeno i precedenti, dalla Brexit al 4 dicembre, sono benauguranti: ma chi gliel’ha fatto fare, a Zaia e Maroni?

TIZIANA FABI / AFP

Il possibile effetto-boomerang dei referendum dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, in considerazione dei precedenti italiani (riforma costituzionale, acqua pubblica,e persino le trivelle, dove i danni politici per la maggioranza hanno superato i benefici della vittoria) ma anche di quelli europei. L’ideona di David Cameron sulla Brexit sappiamo come è finita: spianato lui, la sua classe dirigente, e pure i suoi avversari (Nigel Farage ko, Boris Johnson sparito nella nebbia). L’ungherese Viktor Orban, che credeva di vincere facile col quesito anti-migranti, non è arrivato al quorum: mezzo paese (57%) del tutto indifferente alla sua proposta, figuraccia internazionale. I catalani che in questi giorni giocano la carta dell’indipendenza ci provarono già nel 2014. Il Sì vinse con l’80 per cento ma la partita fu sonoramente persa sul terreno dell’affluenza: quella che veniva raccontata come “epica battaglia di un popolo intero” portò ai seggi solo il 35% degli aventi diritto. Amen. E però la nostra Lega, la Lega dei Governatori del Nord Italia, pensa di essere più brava di tutti. Più furba. Quindi suoi referendum ci conta, e i suoi referendum si faranno puntuali. Il 22 ottobre. In Lombardia e in Veneto. Adelante, Nord!

Come si vota per l’autonomia del Veneto e della Lombardia? Le modalità sono più simili ai sondaggi di “Libero” che a una consultazione istituzionale. In Lombardia nemmeno serve la tessera elettorale, ci si presenterà ai seggi solo con la carta di identità. Ai seggi dove? Al momento non è chiaro. Il sito ufficiale della Regione spiega bene chi può votare, in quali orari, come mettere la crocetta, ma non dice il “dove”, giudicato forse dettaglio irrilevante. Però chi riuscirà a trovare il seggio avrà il brivido di votare con le nuove macchinette conta-voti, i famosi “tablet di Maroni” (24 milioni di euro per 24mila dispositivi) che in realtà somigliano più a un registratore di cassa che a un Ipad. «Nessuno spreco, poi li regaleremo alle scuole», dice il Governatore. Ma le specifiche tecniche dei congegni spiegano chiaramente che, a fini anti-broglio, non sono collegabili alla Rete in alcun modo. Al massimo le scuole potranno usarli come fermaporta.

Come si vota per l’autonomia del Veneto e della Lombardia? Le modalità sono più simili ai sondaggi di “Libero” che a una consultazione istituzionale. In Lombardia nemmeno serve la tessera elettorale, ci si presenterà ai seggi solo con la carta di identità. Ai seggi dove? Al momento non è chiaro

In Veneto invece la tessera elettorale serve, anche se solo formalmente: i cittadini possono portarla, ma non sarà timbrata. È l’unica cosa che ha concesso il Viminale a Luca Zaia, a tutto il resto ci dovranno pensare i Comuni – dalle urne ai telefoni – ai quali la Regione promette il rimborso in un dettagliatissimo elenco che esclude esplicitamente una sola cosa: la «fornitura di lenzuola, cuscini, coperte e materiale con effetto similare». Comunque, con o senza lenzuola e materassi, una pacchia per il personale: per 60 giorni consecutivi (55 prima e 5 dopo il voto) i dipendenti dei singoli Comuni sono autorizzati a segnare fino a 40 ore mensili di straordinari per il lavoro extra richiesto dalla cosa. Il “dove si vota” anche in Veneto è al momento piuttosto misterioso: “Verranno allestiti seggi in tutti i Comuni come in una normale consultazione”, dicono le circolari. Ma nelle “normali consultazioni” si usano le scuole che in questa circostanza non sembrano coinvolte. Nei municipi? Nei cinema? Nei bar? Per strada?

Li avessero fatti a Roma, due referendum così (costo preventivato minimo fra i 40 e i 50 milioni di euro) noi romani saremmo stati seppelliti dagli strilli. “I soliti cialtroni”. “Casinisti irrimediabili”. “Vergogna, spreconi”. “Sindaco di Roma (qualsiasi sindaco di Roma) dimettiti”. Ma siccome si fanno in Padania, le due gazebate saranno oggetto di maggior rispetto e considerazione, e magari persino analisi, e comunque vada – anche se l’affluenza, nonostante le molte possibilità di ingentilire i dati, risultasse scarsina – la Lega avrà raggiunto l’obiettivo di rassicurare i suoi. Siamo sempre noi, il partito del Nord. Quelli di Alberto da Giussano. Il Dio Po. Lo spadone. Il Carroccio. Il rito dell’ampolla. I trecentomila che verranno giù con le baionette a spianare Roma ladrona. Vabbé, c’abbiamo il candidato in Sicilia, e abbiamo sostituito “Prima il Nord” con “Prima gli italiani”. Ok, il piano del momento è ribattezzarci “Lega dei popoli”. Però siamo sempre noi. E a Pontida, quando arriverà Pontida, potremo andare a testa alta come sempre (con la Stella delle Alpi e anche l’elmo celtico cornuto, se ci aggrada).

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