Cinquanta? Sono troppi. Gli stati degli Stati Uniti sono numerosi, hanno confini bizzarri (a volte decisi sulla mappa, a volte appoggiandosi a limitazioni naturali) e in certi casi rischiano di sbilanciare, con la loro stessa presenza, quello che è lo sviluppo sociale, urbanistico ed economico del territorio. Città che crescono, che si collegano con autostrade, che creano industrie e distretti superando i confini formano nuove polarità che modificano gli assetti dell’area più della realtà politica. E allora che si fa? Semplice: si rifà la mappa degli Usa.
Non è una novità. L’ipotesi più interessante, portata avanti negli anni ’70 da George Etzel Pearcy, professore di geografia alla California State University, era di ridurre il numero degli Stati uniti a 38. Creando alcune macroregioni che riscrivessero gli attuali confini, tutte con nomi nuovi. La California si sarebbe smembrata (come del resto pensano di fare ora) in due parti, una chiamata El Dorato e una chiamata San Gabriel, con una porzione di Nevada in mezzo. Il Texas sarebbe rimasto più o meno uguale, ma si sarebbe ribattezzato Alamo e avrebbe perso il suo nord, entrato a far parte del nuovo stato Shawnee. Insomma, un nuovo mosaico basato più su una suddivisione razionale del territorio che sulle sua formazione storica.
L’idea, per quanto bizzarra, aveva ricevuto numerosi apprezzamenti, elogi perfino. Poi è stata mandata a Washington per sottoporla al parere dei politici e non se ne è più sentito parlare.