Che la California non sia un’isola è, oltre che un fatto della realtà, anche una decisione politica. Fu Re Ferdinando VI di Spagna che lo decise, emettendo un regio decreto, in cui lo dichiarava a chiare lettere. I cartografi però si adeguarono con un certo ritardo. Fino a quel momento, del resto, furono in tanti a essere convinti del contrario.
È una storia particolare. Ha a che fare con la cartografia quasi quanto con la mitologia. Le prime osservazioni dell’utopica terra di California (all’inizio descritta come un paradiso in terra, con acque fresche, frutta e abitanti pacifici) la descrivevano come una penisola, che poi è proprio quello che è. Poi sono arrivati gli spagnoli e hanno deciso, con le loro esplorazioni, che in realtà si trattava di un’isola. Come era possibile?
Più che altro si trattava di un sogno e, per certi aspetti, anche di una forma di marketing. Per gli esploratori più entusiasti, come ad esempio il frate carmelitano Antonio de la Ascension, la California rappresentava la zona migliore per impiantare una colonia spagnola. Nelle sue relazioni, scritte dopo la missione di Sebastian Vizcaino (il cui obiettivo era trovare porti sicuri per i galeoni filippini), si favoleggia di corsi d’acqua cristallini, di popolazioni amichevoli e disposte a incontrare il cristianesimo, di porti sicuri e di terre ricche da scavare. In più – e questo era ritenuto l’argomento decisivo – la nuova terra era il punto di accesso al fantomatico stretto di Anian, inesistente e favoleggiato passaggio che divideva il continente americano da quello asiatico e, soprattutto, collegava l’Oceano Atlantico al Pacifico.
È il famoso e chimerico “passaggio a nord-ovest”, che secondo alcune ricostruzioni – piuttosto lacunose, va detto – avrebbe dovuto trovarsi all’altezza di San Diego. In realtà è lo stretto di Bering, molto più a nord. Il frate, insomma, fece di tutto per sponsorizzare la California ai monarchi spagnoli. I suoi scritti circolarono molto negli ambienti cartografici e risultarono influenti: contribuì, del resto, anche la ricostruzione del cartografo inglese Max Briggs, convinto che la California fosse un’isola. Tutte le mappe, di conseguenza, seguirono questo precetto.
Ci vollero circa duecento anni, una serie di esplorazioni più accurate e l’intuito di un geografo come il frate gesuita Eusebio Kino. Da studente, in Spagna, era anche lui convinto della teoria dell’insularità. Arrivato in Messico, però, ebbe i primi dubbi e dopo una serie di ricostruzioni la mise in dubbio con un rapporto del 1705. Alla fine arrivò il decreto del re e, con la forza della geografia, la California fu riattaccata al continente americano. Anche se, per molti aspetti, tutt’oggi se ne sente molto diversa.