Leggete “Zabiba e il re”, il romanzo scritto da Saddam Hussein che spiega come si governa

Pubblicato nel 2000 fu – come è ovvio – un bestseller in tutto il Paese. Racconta, come un’epica antica, l’amore tra un re potente e una donna saggia ma sposata a un uomo malvagio. In mezzo, pensieri e considerazioni su politica, potere e popolo

Non c’è leader che non abbia tentato di sfondare nel campo dell’arte. Mao Tse Tung si cimentava con la poesia. Hitler, con minor successo, con la pittura (allo stesso modo anche George Bush). Alcuni si sono dati alla musica, come il sassofonista Bill Clinton. Dario Franceschini, nel suo piccolo, si è dedicato alla letteratura, campo che ha visto tanti politici provare e pochissimi riuscire. Churchill, senza dubbio. Ma, come pochi sanno, anche Saddam Hussein.

Il raìs iracheno amava il potere ma, più di tutto, amava scrivere. Era tanto rapito da romanzi e racconti da lasciare, nel 2003, l’organizzazione della difesa dell’attacco americano nelle mani del figlio (e si sono visti i risultati). Continuò a scrivere anche quando si trovò in prigione – e, si può dire, lo fece fino alla fine dei suoi giorni. Il suo più grande successo, però, si intitola Zabibah e il Re, pubblicato nel 2000, ed è, suo malgrado, un libro non firmato. In calce recitava la misteriosa dicitura “scritto dal suo autore”.

In realtà, secondo gli analisti della Cia, dietro all’opera non si sarebbe celato il dittatore iracheno, bensì un gruppo di ghostwriter al suo servizio. In ogni caso dovevano essere persone che lo conoscevano benissimo ed erano in stretto contatto con lui: le pagine trasudano i suoi pensieri, le sue opinioni e, in certi casi, perfino i suoi sentimenti.

La storia, che segue lo stile mitologico dell’epica mesopotamica, è ambientata in una fittizia zona del nord dell’Iraq, in epoca islamica. Racconta il rapporto, molto stretto, tra un re molto potente, ’Arab, e la saggia Zabibah. In mezzo a una fitta trama di lotte per il potere (Arab dovrà vedersela con i complotti di Hezkel, emiro malvagio che rappresenta Israele, insime al perfido marito di Zabibah, che invece rappresenta il popolo americano) i due si conoscono, si apprezzano, cominciano a confidarsi i propri pensieri e, alla fine, si innamorano anche (ma in modo casto). Purtroppo la loro storia finirà male: lo scontro tra l’esercito del re con le truppe di Hezkel sarà un trionfo, ma sul campo resteranno uccisi sia Zabibah che il suo crudele marito. Anche il re – nell’ultimo capitolo – muore, ma non prima di aver indetto un’assemblea per un cambio di regime, che si dimostrerà però inefficace.

Il libro, incoraggiato dal regime e venduto in tutto il Paese, si rivelò un grande successo. Va detto che, oltre alla propaganda, aiutò molto anche il prezzo: costava meno di un dollaro americano. Il pubblico poté così conoscere, sotto il velame della forma letteraria, i pensieri che angosciavano di più il raìs. Prima di tutto, la gestione del potere. Un passaggio lo mostra in modo chiaro: il re, aprendosi con Zabibah, le espone i suoi dubbi. Avrebbe voluto, per esempio, creare un suo partito a sostegno del suo potere. Ma al tempo stesso teme di fomentare la lotta tra signori del partito e militari (esempio tratto dal vissuto). Si chiede poi se il popolo, al momento della sua morte, onorerà o dileggerà il suo cadavere. Non sa se sia meglio usare “misure forti” con il popolo o no. “Certo”, gli risponde Zabibah, che impersona il popolo iracheno. “La gente ha bisogno di misure forti, si sente al sicuro, protetta da questa forza stessa”.

Sono i dubbi di un potente, di una persona concentrata sul proprio destino e su quello del popolo su cui comanda. Zabibah, paziente e intelligente, ascolta e consiglia. Nel frattempo si innamora. Tutto sembra filare liscio fino a quando, nello sviluppo della trama, la donna viene violentata dal crudele marito. Un fatto gravissimo che richiede il massimo della vendetta. “Lo stupro è il più grave dei crimini”, dirà la donna, “sia se lo commette un uomo su una donna, sia se si tratta di eserciti stranieri che invadono la patria di un popolo e ne usurpano i diritti”. La metafora è chiara: Saddam si riferisce, almeno secondo gli interpreti della Cia, al trattamento inflitto ai palestinesi da parte di Israele.

Dopo gli scontri, le guerre e le morti, arriva il momento di un’assemblea. I rappresentanti del popolo, però, sembrano non rivelarsi pronti. O non all’altezza. L’ultimo capitolo sembra prefigurare, con un anticipo notevole, la difficoltà di organizzare il potere in un Iraq post-Saddam, sia lungo l’asse ereditario, sia privilegiando alcune componenti della società. Era tutto già scritto. Da un esperto, poi. E viene da pensare che se gli Usa e i suoi alleati, prima di passare all’azione, avessero avuto la pazienza di leggere e studiare il volume, forse molti problemi successivi alla caduta del regime (leggi: tutto quello che succede adesso, Isis compreso) sarebbero stati evitati.

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