Mattarella e Napolitano contro Renzi: la battaglia è iniziata (e non si fermerà a Bankitalia)

I due presidenti - in carica ed emerito - sono sempre più insofferenti a Renzi. Lui, in giro per l’Italia col treno elettorale, è sempre più rottamatore e insofferente ai galatei istituzionali. Resisterà, Renzi? Nel frattempo, Gentiloni si mette al riparo e Veltroni si prepara

Elaborazione su immagini di Alberto PIZZOLI/AFP, Emmanuel DUNAND/AFP, Alexander NEMENOV/AFP

La distanza tra Palazzo Chigi e largo del Nazareno non è mai stata così grande, da quando Paolo Gentiloni è presidente del Consiglio e Matteo Renzi è tornato a fare il segretario del Pd a tempo pieno, E non solo perché quest’ultimo è impegnato nel tour in treno che lo sta portando a visitare i luoghi più remoti del Paese, «lontano dal chiacchiericcio dei palazzi romani», come ama dire lui. Ma soprattutto perché sulla vicenda Bankitalia e su quella che ormai può essere considerata una vera, quanto irrituale, mozione di sfiducia nei confronti del governatore Ignazio Visco, si è consumato un vero e proprio scontro.

Ripercorriamo, brevemente, i fatti che hanno portato a questo strappo. Martedì mattina, di buon’ora, Renzi, insieme a un drappello di fedelissimi e qualche giovane volto fotogenico, parte dalla stazione Tiburtina di Roma per un viaggio che lo terrà impegnato per i prossimi due mesi, «un viaggio umile, per imparare, a contatto con la gente». Dalla sua carrozza-ufficio, il segretario del Pd è in stretto contatto con il capogruppo alla Camera Ettore Rosato (il “papà” del Rosatellum) perché il partito sta per presentare una mozione a prima firma Silvia Fregolent, in cui di fatto si chiede di non procedere alla riconferma del governatore di Banca d’Italia.

Quando la mozione viene scritta, nei giorni precedenti, nessun membro del governo – a parte Maria Elena Boschi e Luca Lotti – è a conoscenza del contenuto della stessa. Quella stessa mattina, Renzi sente Paolo Gentiloni, per fargli sapere le sue intenzioni. La telefonata tra i due è molto tesa: non sono assolutamente d’accordo sull’atteggiamento da seguire sul dossier Bankitalia. Il presidente del Consiglio non coglie l’immediatezza di quel che sta per avvenire. Quella telefonata, il giorno dopo, servirà a Renzi per dire che Gentiloni «era a conoscenza della mozione». Non solo – specifica – «era anche d’accordo». Versione, questa, ampiamente smentita da Palazzo Chigi.

Gli uomini vicini al segretario, parallelamente, fanno sapere che «la Finocchiaro, in quanto ministro competente (Rapporti con il Parlamento, ndr), era a conoscenza della mozione». Versione, quest’ultima, decisamente corretta da altre fonti di governo, che raccontano a loro volta, come sarebbero andate le cose: «La ministra ha avuto il dispositivo solo 40 minuti prima, mentre era in capigruppo al Senato», racconta uno di loro. A quel punto la Finocchiaro ha avvertito il premier che ha immediatamente richiamato Renzi per chiedere una modifica. Nel frattempo la ministra si spostava di corsa da Palazzo Madama a Montecitorio dove, d’accordo con Gentiloni, concordava con Rosato di togliere la parola “discontinuità” dal dispositivo. Nel pomeriggio, poi, il sottosegretario Baretta ha dato parere favorevole del governo alla mozione, solo se ulteriormente riformulato un passaggio della premessa. Un fatto, questo, che già di per sé è sufficiente a spiegare lo scollamento esistente tra l’esecutivo e il partito di (stra)maggioranza relativa che lo sostiene. Solitamente i testi delle mozioni vengono discussi prima, non dopo.

Dal centro di Roma e dal treno del Pd che stava viaggiando verso l’alto Lazio, la scena più drammatica di questo film si sposta in pochi minuti al Quirinale. Avvertito da Palazzo Chigi di quello che sarebbe successo di lì a poco, il presidente della Repubblica va letteralmente su tutte le furie per quella che considera un’ingerenza grave. Non nasconde tutto il suo disappunto. Ed è proprio tra Mattarella e Renzi che si consuma lo strappo più simbolico e significativo. Il Colle non è assolutamente disponibile ad avallare la furia neo-rottamatrice del segretario del Pd. Il quale, a sua volta, in ottica elettorale, non perde occasione per marcare la sua allergia per le logiche istituzionali, convinto che solo un ritrovato atteggiamento anti-sistema possa metterlo al riparo dagli attacchi dell’ampio fronte populista.

Quella che va prendendo forma è una faglia profonda tra un fronte presidenziale-istituzionale e uno più rampante e spregiudicato, dietro i quali si celano due idee contrapposte di centrosinistra. Il primo è rappresentato perfettamente da Matterella e Napolitano, Il secondo coincide con l’ultima versione di un Matteo Renzi che liquida la questione con una frase-manifesto: «Tra il galateo istituzionale e la difesa dei risparmiatori sarò sempre dalla parte dei secondi»

E quale occasione migliore per battere un colpo, se non il tema che più di tutti ha messo in difficoltà lui, il suo governo e una delle figure a lui più vicine? «È stata la mossa del cavallo», dicono gli uomini di Renzi, pensando al soprannome con cui lo chiamano i suoi, fin dai tempi di Firenze. Individuando Visco come capro espiatorio della crisi bancaria, il segretario del Pd punta metaforicamente il dito contro i manager che hanno portato gli istituti al collasso e, soprattutto, contro chi si è reso colpevole, a suo modo di vedere, di aver permesso che succedesse tutto quel che è successo. «Se Renzi non si fosse schierato contro Palazzo Koch – ci spiegano fonti parlamentari – avrebbe lasciato campo libero ai grillini. Quel che conviene fare oggi è schierarsi apertamente contro i banchieri e lui lo ha fatto». Una mossa elettorale, a tutti gli effetti. Tanto che, dopo un iniziale tentennamento, anche Berlusconi ha annusato l’aria e si è affrettato a mettersi in pari, affermando che «certamente Bankitalia non ha svolto il controllo che ci si aspettava». Scaricando anch’egli Visco, di fatto.

Il quale, paradossalmente – è questo il ritornello che risuona a Palazzo Chigi – è più forte di quanto non fosse tre giorni fa. Già perché, se Renzi non fa passi indietro, non ha alcuna intenzione di farne Mattarella, fermamente intenzionato a riconfermare il governatore, sponsorizzato, tra gli altri anche dal presidente della Bce Mario Draghi, preoccupato a sua volta delle conseguenze di un salto nel buio di via Nazionale. Sarebbe la seconda volta – dopo il niet sull’immediato ritorno alle urne – che il Colle stoppa un’iniziativa di forza portata avanti da Renzi da quando ha lasciato Palazzo Chigi.

Quella che va prendendo forma è una faglia profonda tra un fronte presidenziale-istituzionale e uno più rampante e spregiudicato, dietro i quali si celano due idee contrapposte di centrosinistra. Il primo è rappresentato perfettamente da Matterella e Napolitano, che dopo aver criticato molto le scelte del Pd sulla riforma elettorale – contro la quale ha già annunciato un intervento al dibattito in aula al Senato, la prossima settimana – ha commentato la vicenda Visco con una frase che dice tutto: «Non devo occuparmi delle troppe cose che ogni giorno capitano e che sono deplorevoli». Il secondo coincide con l’ultima versione di un Matteo Renzi più deciso che mai a colmare la distanza sentimentale con il Paese profondo. Quel Renzi che liquida la questione con una frase-manifesto: «Tra il galateo istituzionale e la difesa dei risparmiatori sarò sempre dalla parte dei secondi». A prescindere dalla riconferma di Visco o meno, l’obiettivo, a suo modo di vedere, è raggiunto.

Sarà una partita a scacchi che si giocherà su più livelli. E in cui gli altri, che siano avversari politici o compagni di partito, non staranno a guardare. A partire da un sempre più centrale Walter Veltroni, che ha giudicato l’azzardo di Renzi con inedita durezza, neanche quarantott’ore dopo il bagno di folla delle celebrazioni per il decennale del Pd. Un intervento, quello dell’ex segretario, che in molti considerano come un chiaro messaggio: ‘«Se le cose si mettono male, io ci sono». Chi vuole intendere, intenda.