Tutti lo conoscono per film tenebrosi, densi di significato e di male di vivere. Eppure Ingmar Bergman girò anche una dozzina di spot pubblicitari. Molto simpatici e, uno potrebbe non aspettarselo, anche piuttosto allegri.
Avvenne, prima di tutto, per motivi di soldi: il cinema attraversava un brutto periodo, le produzioni erano bloccate dagli scioperi e il giovane Bergman, con due matrimoni alle spalle (con conseguenti mogli da sostenere), cinque figli a carico e un sesto in arrivo da una terza donna, aveva un’urgente necessità di finanziamenti. In più, sottolinea, aveva ricevuto piena libertà da parte dei suoi committenti: un’occasione inaspettata per sperimentare idee e progetti. E così si mise a girare spot sul sapone Bris (in inglese Breeze).
La serie si compone di 12 episodi, tutti scollegati tra di loro, con al centro – però – un unico grande protagonista. La morte? Ma no: il sapone. Che lava via ogni malinconia.
Il primo episodio è molto semplice, uno spot commerciale che rispetta alla lettera i canoni dell’epoca. La creatività viene liberata già nel secondo: la battaglia tra bene (sapone) e male (batterio) viene inscenata come ingrandimento della pelle di una tennista che fa la doccia. Chi vincerà?
Nel terzo episodio, si fa un salto nel passato: nel glorioso mondo di re Gustavo III. La sua corte era florida e splendente, ma priva di sapone Bris. La vita, anche per i re, doveva essere misera.
Il quarto, invece, è un piccolo gioiello: all’inizio è ambientato in un ospedale, che poi si scopre essere un set, e poi si capisce che, in realtà, è proprio il set in cui viene girato lo spot per il sapone Bris. Gioco di specchi, meta-spot, linguaggi che si sovrappongono. Bergman al suo massimo, a quanto pare, prima dei suoi immensi capolavori.
Gli altri spot (tutti in svedese, senza sottotitoli) si trovano qui.