Roma funziona sempre meno, ce ne accorgiamo tutti. E la vita scorre sempre più lenta. Possiamo lamentarci scomposti alla fermata del bus che non arriva, strepitare per la puzza, bestemmiare per i tacchi rotti persi in mezzo alle crepe. Ma la verità è che per vivere a Roma ci vuole abilità di bricolage e prontezza di spirito. Se ce l’hai, se fai questo passaggio, se ti evolvi, t’inquieterai e diventerai sospettoso quando qualcosa funzionerà bene, quando andrà da sé: perché non si può mai sapere dove diavolo andrà. Allora meglio le cose rotte, inutili.
La cosa più inutile di tutte da fare a Roma è andare a una cena, o a una cena più festa a casa di qualcuno. Rigorosamente in centro (il Pigneto non esiste quasi più, forse adesso si può iniziare a fare una capatina al Quadraro ma lì la situazione è già più utile, mettono ancora parecchio impegno nelle conversazioni sulla musica indie). Case in centro, dunque. Con l’arpa in salone. La Jacuzzi in terrazzo. La tavoletta del cesso disegnata da Cattelan. Case in cui si parla di niente per ore e ore e ore ma non vuoi andartene perché è troppo bello vedere dal tetto i gabbiani che sembrano finti, finalmente calmi, appostati sui comignoli. Vedere tutta Roma sotto. Lontana. Misteriosamente silenziosa.
Case dalle quali non te ne andresti mai, che diventano prigioni malinconiche. È come trovarsi di fronte in loop all’ala gialla che vide Bergotte ne La veduta di Delft prima di morire. Sindrome di Stendhal in agguato ad ogni angolo. Non importa se si tratta del giro attori, del giro politici, del giro editoria. Cafoni di ogni schiera sarete i benvenuti, berrete champagne insieme ai superchic. Una volta in casa si sta tutti insieme. Non importa se la gente chiacchiera senza dire mai niente di sostanziale.
Non è come a Milano dove la gente sembra sempre in procinto di recitare la Divina Commedia o fanno i pensosi davanti a una finestra, o se parli di qualcosa di frivolo o dici “bello questo quadro”, lo definisci solo “bello” senza qualcosa di pseudo-intellettuale vicino, ti guardano con il sopracciglio alzato.
Cafoni di ogni schiera sarete i benvenuti, berrete champagne insieme ai superchic. Una volta in casa si sta tutti insieme. Non importa se la gente chiacchiera senza dire mai niente di sostanziale. Non è come a Milano dove la gente sembra sempre in procinto di recitare la Divina Commedia
Qui nessun profeta e nessun impegno. Nessuno fa finta di essere qualcun altro (l’unica volgarità, dice il poeta, è far finta di essere diversi da quel che si è). Se sono entrati nel giro non hanno bisogno di dimostrare niente e allora solo vacanze, non c’è un altro evento come l’11 settembre impresso nella nostra coscienza, hai fatto fare le meches a tua figlia di 6 anni?! Com’è bella la vita in via dei Coronari, solo che di notte ho paura, hanno stuprato quella ragazza, mannò era una signora, hai sentito di quella settantenne, chissà cosa ci avrà trovato quel marocchino, com’è sporco a piazza Vittorio (ma anche la polemica dura sempre poco e se dura la ragioni sono sempre così già sentite che è come se non stessero dicendo niente).
Non ci si lamenta nemmeno più in modo serio. I padroni di casa s’impegnano di più con il menù. Non importa che film hai visto, se l’hai visto, se hai letto quel libro proprio quel libro e nessun altro libro. Solo pippe come mantra già sentito 20000 volte – dove stai lavorando, sto facendo uno stage alla Rai abbiamo affittato una location da urlo, no, in campagna non giriamo più, questo Martini è fatto davvero bene, il barman è un artista, in quel cinema ci piove cazzo ma anche sticazzi / hai sentito il discorso di oggi sulle infrastrutture, usava dei termini così vecchi, no dai, filosofici, ma come gli viene di fare un discorso con termini come “epektasis” (si dice così?) in Parlamento, è perché non ti vuoi far capire niente, è perché è stronzo ma anche sticazzi / dove vai per il weekend, forse mi chiudo alla spa del Ghetto, c’è una giornata solo donne, io vado a Capalbio, c’è quella festa con il karaoke, ho comprato queste scarpe aperte ma forse pioverà, se piove si va alle terme, non alle libere ché ci sono dei vermetti piccolini che ti s’infilano ovunque ma anche sticazzi. Appena passata l’asticella del quarto grado di tasso alcolico s’inizia con il sesso, con si vedono le rughe di più con la luce dal basso o dall’altro, la possibilità di ricevere uomini a luci spente o solo con le candele accese, sì sì in quella villa fanno le orge, è la nuova Zannone, e tu come lo sai?
Dopo la prima canna si attacca con i desideri ancora più nascosti, i segreti inenarrabili e repressi tipo lei ha le unghia finte e io non dovevo dirlo ma l’ho detto, quella ha tradito quello non dovevo dirlo ma l’ho detto. Ops. Inizia la cattiveria manifesta.
Appena passata l’asticella del quarto grado di tasso alcolico s’inizia con il sesso, con si vedono le rughe di più con la luce dal basso o dall’altro, la possibilità di ricevere uomini a luci spente o solo con le candele accese, sì sì in quella villa fanno le orge, è la nuova Zannone, e tu come lo sai?
Torni a casa e non è successo niente ed è la cosa più bella che potesse succederti. Niente. La dolce vita esiste ancora, non è più per strada, è dentro. Dolce Vita: un gruppo disfunzionale di sfaccendati che si riuniscono in modo inconcludente. Tullio Kezich in Noi che abbiamo fatto la Dolce Vita (Sellerio) racconta che “Federico (Fellini) era sempre pronto a deviare, a sottrarsi e a infrattarsi; mentre noi intorno ci sentivamo tutti come ragazzi che hanno marinato la scuola / Tirava sempre l’aria di non fare un accidente, di sfuggire agli impegni, di bruciare il paglione”. Cos’è cambiato? Tutti diranno: le persone. Non ci son più i Cardarelli, i Longanesi, gli Arbasino, i Flaiano, gli Scalfari (pure), i vari Moravia, Morante, Pasolini, Parise, Ercole Patti, Vittorio Veltroni (padre di Walter).
Ma la cosa davvero empiricamente cambiata è: l’affitto. Gli affitti non sono più bassi come una volta – e gli appartamenti sono sempre dei buchi pulciosi. Un loft? Un open space razionale con disposizione Bauhaus? Forse a Milano. Qui a Roma non abbiamo bisogno di tutto questo spazio, a che serve? Per fare pilates? E nemmeno della razionalità. Si pagano 2000 euro per avere un buco in una mansarda polverosa con la cucina in bagno ma dalla finestra si vede Michelangelo, oppure 2300 per 29 mq con un balconcino affacciato su Giordano Bruno e un tubo dal quale lanciare giù la monnezza (ingegneria avanguardista) e la gente sotto urla e si lamenta digitando insulti su Roma fa schifo.
Il New Yorker ha reso fica pure l’immondizia, hanno fatto disegnare una tavola periodica del trash newyorkese e tutti l’hanno condivisa sulle loro bacheche con cuori e stelline – si può rendere cool pure la merda, Pietro Manzoni docet.
La cara Raggi dovrebbe essere più glamour e mefistofelica. “Roma era l’unica città in cui un uomo partendo dal nulla poteva diventare una personalità. L’uomo che vuole fare fortuna in questa antica capitale deve essere un camaleonte suscettibile a tutti i colori che la luce riflette sulla sua pelle. Deve essere abile, intrigante, falso, impenetrabile, compiacente, anche ignobile all’occorrenza; deve fingere di essere sincero, facendo sempre sembrare di sapere meno di quello che effettivamente sa, deve possedere un solo tono di voce, deve essere paziente, padrone perfino dei muscoli del suo viso, freddo come il ghiaccio nelle situazioni in cui un altro brucerebbe. Se aborrisce questa finzione, deve dimenticare Roma, e andare cercare fortuna in Inghilterra”. Amen. È così. Come scriveva Casanova.Il New Yorker ha reso fica pure l’immondizia, hanno fatto disegnare una tavola periodica del trash newyorkese e tutti l’hanno condivisa sulle loro bacheche con cuori e stelline – si può rendere cool pure la merda, Pietro Manzoni docet. La cara Raggi dovrebbe essere più glamour e mefistofelica
E comunque vivere in luoghi angusti è importante quando sei giovane, è così che ti formi la personalità. Trovi soluzioni inaspettate alla Sohn Rethel. Tutto è rotto. Allora inventi. Giochi con la caldaia piena di calcare con cristalli blu che scendono dai tubi come stalattiti e torni bambino. Rethel durante una sua vacanza a Napoli (che sta diventando sempre più precisa, Roma sta prendendo il suo posto, Roma is the new Napoli) si accorse che era tutto rotto, gli sembrava che tutto venisse prodotto già rotto in anticipo, che per il napoletano il funzionamento cominciasse proprio e soltanto quando qualcosa si rompeva. “Il napoletano va per mare con un motoscafo sul quale a mala pena oseremmo metter piede, anche con un vento impetuoso. Il motoscafo non va mai come dovrebbe andare, ma procede alla meno peggio. Con imperturbabile consapevolezza, egli lo porta a tre metri dagli scogli, verso i quali una turbolenta risacca minaccia di schiantarlo, pronto, ad esempio a scaricare il serbatoio di benzina danneggiato, nel quale è penetrata l’acqua, e a riempirlo di nuovo senza mai spegnere il motore. Se necessario, prepara contemporaneamente la macchinetta del caffè per i suoi ospiti di bordo”.
Come le poltrone di velluto fracassate appartenute a chissà quale famiglia nobile in rovina, messe in mezzo alla strada vicino ai bidoni: la gente si siede a riposare, ci chiacchiera, ci pomicia. Manca solo la tv. Vedi Los Angeles (il cui nome viene da Santa Maria degli Angeli, sotto Assisi) dove ci sono divani su divani in giro con i messicani spanzati sopra. O le vetrine che diventano gallerie d’arte. C’è una vetrina dismessa, pure brutta, ad angolo in via del Consolato 12 dove espongono opere a rotazione. Ogni settimana ce n’è una diversa: dagli appunti di Vattimo alle pennellate di Gianni Politi. O il negozio più inutile e fantastico della capitale: Sempre Natale.
Anche solo l’idea che qualcuno possa entrare in questo posto pieno di paccottiglia innevata gestito da un ragazzo in canotta tatuato per comprare una palla o una pecorella per il presepe ad agosto rende il mondo un posto migliore. Aperto tutto l’anno. Le slitte. La neve. Babbo Natale. Ancora, si respira un po’ d’aria losangelina. E mentre cammini per arrivarci devi schivare i passanti come in un locale, al ritmo forsennato della techno suonata da un tipo in occhialini neri da biker su via del Corso tutti i lunedì dalle 18 in poi. Oppure ci vai in bus, alla vetrina o da Sempre Natale o ad una festa o da qualsiasi altra parte. Inizia il primo freddo anche a Roma e l’unica soluzione possibile, visto il dress code che impone la capitale (nun ce l’avemo li piumini) è il bus-mangiatoia. Intanto ci devi entrare. “I veri sognatori sono quelli che cominciano a correre verso la fermata a 400 metri di distanza quando vedono che sta arrivando l’autobus” scrive Sean Cubito in un post su Facebook. Se riesci ad entrare nella cerchia degli eletti la temperatura corporea si alza di almeno 10 gradi. Ti devi quasi spogliare. E oltre al corpo ti si riscalda anche l’anima: leggere i post sgrammaticati per – siamo ottimisti – la troppa foga che scrivono i passeggeri indignati sulla pagina della Raggi ti rallegra la giornata, o tornare bambini come alle giostre quando si fa lo zig zag antiterrorismo fra le fioriere. Completamente inutile. Dovrebbe rassicurare? Non rassicura. Fa solo venire i lividi.
La troppa foga che scrivono i passeggeri indignati sulla pagina della Raggi ti rallegra la giornata, o tornare bambini come alle giostre quando si fa lo zig zag antiterrorismo fra le fioriere. Completamente inutile. Dovrebbe rassicurare? Non rassicura. Fa solo venire i lividi
Siamo in centro, quindi la macchina meglio lasciarla a casa. Allora in bici. Chi diavolo vuole andare in giro in bici per Roma? Perché le ciclabili sono diventate simbolo di una civiltà illuminata??? Ok Milano. Roma no. A piedi a prendere storte sui sampietrini è meglio che morire schiacciati sull’asfalto. E poi a piedi hai tempo di ballare la techno o di dare indicazioni sbagliate ai turisti: a Roma si dà il benvenuto ai turisti dandogli le indicazioni sbagliate per farli perdere dentro alla bellezza, non siamo mai precisi, fattivi, mirati. Sempre casuali, misteriosi, vagamente surreali.
Ma è di notte lo sfascio più bello. Tutti possono diventare tutti. C’è un signore in piazza san Callisto che canta canzoni improbabili, vestito di bianco, con i capelli lunghi, le maniche larghe, tipo menestrello, mima frasi mielose che recita con tono melodrammatico. Una base peggio delle melodie negli ascensori. Una trentina di righe di sedie allineate con delle persone sedute ad ascoltarlo, ferme, che non si alzano, che non gli tirano pomodori o uova marce. Quest’uomo di mezz’età ha avuto il suo momento di gloria. Un concerto in centro a Roma. La piazza piena. Non devi essere fico o bravo o un genio, non devi avere particolari meriti per salire sul palco. O per essere invitato ad una cena. Democrazia assoluta. Domani quello che sta suonando con i cani 100 metri più in là, in piazza San Cosimato, proprio lui, potrà esibirsi sul palco con la sua armonica. E il tipetto che ti parlava delle location di Elisa di Rivombrosa sarà diventato deputato