Salvate il poveruomo italiano terrorizzato dal caso Weinstein

I giornali in Italia li dirigono gli uomini, hanno caporedattori uomini, editori uomini, così come le reti televisive. Il poveruomo italiano è quello che commissiona fotogallery sulle scarpe della Boschi e ride alle battute sull'estetica della Bindi e pensa che le donne se la vadano a cercare

Yann COATSALIOU / AFP

Il carro degli uomini in Italia è molto comodo, con sedili di velluto attrezzati di sportello bar, e peraltro non ce ne sono altri. Salirci sopra è più o meno un obbligo, e lo abbiamo visto in queste due settimane di Caso Weinstein: nessuno, da Natalia Aspesi di Repubblica ad Annalisa Chirico del Foglio ha voluto rimanere a bordo strada. Tutti/e su quel carro lì, senza incertezze. L’uomo è la vittima, nel caso specifico (il povero Weinstein, che «se tu chiedi un massaggio e io il massaggio te lo concedo, dopo è difficile stupirsi dell’evoluzione degli eventi» – Aspesi) ma anche nell’ordine planetario delle cose: «braccato da femministe fuori dal tempo e donne in carriera che per sopravvivere alla gender society deve rinunciare a se stesso» (Chirico).

Questo poveruomo vittima di vendette postume, cacciato come una quaglia in riserva, apparentemente potente ma in realtà assai più fragile delle astute maghe Circe che lo insidiano, risponde assai poco alle esperienze personali che ne abbiamo tutte noi, e persino ai titoli di cronaca, ma tant’è. I giornali in Italia li dirigono gli uomini, hanno caporedattori uomini, editori uomini, così come le reti televisive, la maggior parte dei telegiornali e ogni branca riferibile alla comunicazione, ed è su quel velluto che dobbiamo sederci, quello il bar da cui versarci una Coca Cola (Zero, se possibile, che se ingrassiamo diventa un problema anche professionale).

Il poveruomo italiano è quello che commissiona le photogallery sulle scarpe con le borchie di Maria Elena Boschi, senza nemmeno immaginare – è un poveruomo – che l’abbigliamento delle donne di potere sia un messaggio, e quindi quelle scarpe vogliano dire qualcosa oltre la visione del poveruomo medio. Il poveruomo italiano è quello che ride alle battute sull’estetica della Bindi, ripetute da tre generazioni di poveruomini e sempre accolte da grande letizia senza neppure immaginare che quell’estetica è una scelta, corrisponde a una dichiarazione di intenti. Il poveruomo dice «Prima la danno via e poi piagnucolano» perché, appunto, si sente braccato: ai bei tempi le Franca Viola manco se lo sognavano di denunciare, né un giorno né un mese dopo, e il poveruomo non sa a che santo votarsi in questo mondo dove si affibbia «il marchio di criminalità alla smodata lussuria di omoni ricchi e gaudenti» (Renato Farina). Si criminalizza cosa? L’«o me la dai o scendi» che è tradizione dei nostri nonni? E che cosa sarà mai l’estorsione di sesso nel Paese della mafia, dove devi pagare pure per fare il pasticciere o il bracciante agricolo? Ma dove vivete voi ragazze?

Sul carro di questi poveruomini è complicato starci, ma starci si deve, in quanto saranno pure poveruomini ma comandano loro. La doppia verità, una voce sulle piazze e un’altra in Parlamento. Il caso Guia Soncini, per dire, che ride delle vittime di Weinstein su Fb e poi scrive un articolo per il Nyt sulle donne italiane incapaci di solidarizzare con chi non fa parte della propria cerchia. Abbiamo opinioni, ma abbiamo anche editori. E se l’editore Usa si chiede come mai Asia Argento da noi è stata seppellita dalle critiche, l’editore italiano trova al contrario che l’articolo da scrivere sia: «Vi spiego perché Weinstein è un perseguitato»

Il poveruomo è indignato. Non è servito a niente spiegare per anni che «siamo tutti puttane» se poi queste, le puttane, salgono su a dirti: mi ha obbligato, mi ha ricattato, mi ha violentato. Il poveruomo chiede tutela, protezione, è un Panda sperso nella deforestazione delle latitudini pluviali. E il suo Wwf risponde con entusiasmo denunciando «la sconcertante, conformista, morbosa, vigliacca festa del vittimismo femminile» (Anselma Dell’Olio) e rovesciando il mondo a misura del mainstream italiano, dove la vittima è sempre meno vittima che altrove: stupro? Ma come eri vestita? Botte in Questura? Ma tu che gli hai detto al poliziotto? Aggressione allo stadio? E che ci facevi tra gli ultras? Usura? Perché gli hai chiesto soldi? Truffa bancaria? Perché non hai letto le avvertenze in piccolo? Il poveruomo non vede per quale motivo non si possa fare la cresta sul contratto di una donna come su un appalto o su una concessione edilizia: «il reato di maialaggine – dice – non esiste mica» (sempre Farina); «solo se è a rischio l’incolumità fisica è giustificato subire» (sempre la Dell’Olio).

Sul carro di questi poveruomini è complicato starci, ma starci si deve, in quanto saranno pure poveruomini ma comandano loro. Si elaborano strategie togliattiane. La doppia verità, una voce sulle piazze e un’altra in Parlamento. Il caso Guia Soncini, per dire, che ride delle vittime di Weinstein su Fb e poi scrive un articolo per il Nyt sulle donne italiane incapaci di solidarizzare con chi non fa parte della propria cerchia. Abbiamo opinioni, ma abbiamo anche editori. E se l’editore Usa si chiede come mai Asia Argento da noi è stata seppellita dalle critiche, l’editore italiano trova al contrario che l’articolo da scrivere sia: «Vi spiego perché Weinstein è un perseguitato». E siccome siamo brave, e siccome sappiamo scrivere a favore di San Francesco ma anche contro, e siccome dobbiamo lavorare, faremo tutte questo articolo con zelo, e le notizie sui Weinstein nostri, sui poveruomini braccati che cercano sui divani un estremo anelito prima di soccombere «alla gender society» (qualsiasi cosa voglia dire), ce le scambieremo facendo aperitivo. Come fanno da sempre le donne della nostra bellissima Italia sulle soglie delle case di paese, capando la verdura o sgranando fagioli, e sussurrando del Don Rodrigo locale che quella Lucia sì, vabbè, l’hanno rapita i Bravi, ma pure lei se l’è cercata, se non avesse fatto tante storie a quest’ora era già sposata…

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club