Assenteisti? No, perseguitati: così si finisce a processo per 10 minuti di assenza

Nel mare magnum delle indagini sui dipendenti della pubblica amministrazione non finiscono solo gli assenteisti cronici, ma anche dipendenti che magari hanno compiuto una leggerezza e che finiscono a processo per pochi minuti e danni quantificati in 2 o 3 euro

Si fa presto a dire “furbetti del cartellino”. L’impiegato del Comune di Sanremo che timbrava in mutande e poi lasciava il posto di lavoro è diventato il simbolo dell’assenteismo da colpire a suon di licenziamenti. Ma nel mare magnum delle indagini sui dipendenti della pubblica amministrazione finisce di tutto. Non solo gli assenteisti cronici e plateali: quelli che passano il badge per poi uscire sistematicamente a curare orti o stalle, o ad allenare squadre di basket e dedicarsi a sedute di running. Nelle carte giudiziarie incappano anche dipendenti che magari per una volta hanno compiuto una “leggerezza”, e che pur rimanendo o ritornando subito nel luogo di lavoro si trovano ancora a dover affrontare lunghi processi anche per meno di dieci minuti di assenza, con danni quantificabili in pochi spiccioli, 2 o 3 euro al massimo.

Il signor Maurizio, dipendente regionale in Calabria, è stato da poco rinviato a giudizio per un danno presunto di 2,14 euro. Come racconta l’avvocato nella memoria difensiva, nel 2013 le telecamere hanno registrato la sua uscita, anche se l’impiegato sarebbe rimasto nel luogo di lavoro a discutere con due dirigenti, in attesa di uscire per un corso di formazione da un’altra porta della sede di lavoro non monitorata. Nel frattempo, un collega gli avrebbe fatto il favore di timbrare il cartellino al posto suo, mentre il signor Maurizio sarebbe stato ancora lì. Come siano andate le cose è tutto da dimostrare in tribunale. Quello che si sa è che tempo “rubato” sarebbe di una decina di minuti, pari a un danno di 2,14 euro, per i quali Maurizio di recente è stato rinviato a giudizio per abusi d’ufficio, falso e truffa. Nel frattempo, quelli che avevano scelto il rito abbreviato hanno avuto una condanna in primo grado, ma sono assolti in appello.

E dopo la prima sentenza di condanna, uno dei dipendenti coinvolti si è addirittura suicidato. Così come è accaduto a Sulmona, dove un impiegato del comune finito in un’inchiesta si è impiccato nel suo garage. Avrebbe timbrato il cartellino al posto della sua responsabile. Il danno a suo carico era stato quantificato in appena 55 euro, a cui però si erano aggiunti altri 15mila euro per danno d’immagine.

A Milano lo scorso 30 agosto è stata invece confermata la legittimità del licenziamento nei confronti di un dipendente comunale che aveva abbandonato il posto di lavoro 42 minuti prima del termine dell’orario di servizio per accompagnare il figlio disabile in palestra. Secondo il Tribunale, il problema non è tanto l’allontanamento dal posto di lavoro, quanto il fatto che il dipendente si fosse accordato con un collega perché a fine turno timbrasse il badge anche per lui.

Nel mare magnum delle indagini sui dipendenti della pubblica amministrazione finisce di tutto. Non solo gli assenteisti cronici e plateali, ma anche dipendenti che magari per una volta hanno compiuto una “leggerezza”, e che si trovano ancora a dover affrontare lunghi processi anche per danni quantificabili in 2 o 3 euro al massimo

Casi da azzeccagarbugli, tra i mille rivoli di decreti con il nome del politico di turno e leggi anti-fannulloni, diventati spesso capro espiatorio di una pubblica amministrazione che fa acqua da tutte le parti. Ma molto dipende dalla discrezionalità del giudice di turno, tra pm sceriffi e indagini costose a volte per danni irrisori. C’è chi viene assolto, chi rinviato a giudizio. E spesso arriva la prescrizione a mettere tutto a tacere. Alla fine solo pochi vengono condannati o licenziati. Nel 2015 (gli ultimi dati disponibili risalgono a due anni fa), solo il 3% delle azioni disciplinari si è concluso con l’interruzione del rapporto di lavoro.

Persino il primo caso di assenteismo perseguito con il noto decreto Madia è tutto da rifare. Due dipendenti dell’ospedale di Campobasso erano stati sorpresi a timbrare per poi dedicarsi ad altre attività, e licenziati con la nuova formula del licenziamento lampo. Ma ora le indagini devono ripartire da zero per una serie di vizi di notifica.

Anche perché l’assenza di pochi minuti, e il danno di pochi euro, non sempre dai tribunali sono ritenuti congrui per procedere al licenziamento. Da Nord a Sud, ci sono stati diversi casi di reintegro e condanna nei confronti della pubblica amministrazione perché il danno arrecato dai dipendenti assenti non era quantificabile o troppo piccolo rispetto alla pena. Sotto gli 80 euro, si legge in una sentenza di Bologna su alcuni dipendenti del ministero dello Sviluppo economico, «non si concretizza un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica». Lo stesso principio è stato applicato a Verona, dove il giudice del tribunale del lavoro ha assolto due dipendenti dell’Ulss che si erano spostate dal luogo di lavoro per una pausa caffè al bar. E anche a Como, davanti a un danno di circa 7 euro, il gup ha assolto i dipendenti coinvolti.

Che poi l’uscita effettiva dal luogo di lavoro è tutta da dimostrare: non sempre le telecamere della videosorveglianza tengono conto di tutti gli ingressi. Un cavillo, questo, che però ha portato anche a casi limite. A Modena due cancellieri dell’ufficio del Giudice di Pace sono stati assolti perché c’erano quattro ingressi nella palazzina degli uffici amministrativi, mentre gli investigatori ne avrebbero filmato solo uno. Non solo. E bisogna menzionare anche il caso di un fornaio di Palermo che aveva passato il bage di un dipendente pubblico, ma in aula è stato documentato che lo avrebbe fatto per una sorta di favore. Il fornaio aveva trovato quel badge sul bancone del suo panificio e, proprio perché conosceva il cancelliere, lo aveva strisciato e poi glielo aveva consegnato.

Tribunale che vai sentenza che trovi. D’altronde nel 2011 la Cassazione ha stabilito che è illegittimo il licenziamento dell’impiegato che lascia il proprio posto anticipando di pochi minuti il termine dell’orario di lavoro se ha comunque svolto tutte le operazioni affidategli nel corso del turno.

Eppure nella Babele delle leggi e decreti italiani anti-furbetti non si rischia solo di essere indagati per truffa o falso. Una norma semisconociuta della legge Brunetta è stata applicata per la prima volta nel 2015 a un primario dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Il medico, sebbene non processabile per falso in atto pubblico, e benché fosse stato assolto infine anche dall’imputazione di truffa allo Stato, è stato condannato con rito abbreviato a un anno e 4 mesi e a risarcire all’ospedale 30mila euro di danni patrimoniali, più danni di immagine in separata sede civile, per presunte assenze ingiustificate. Il primario aveva obiettato che il suo contratto lo retribuiva non a ore di presenza fisica ma a obiettivi, tutti centrati. Ma che evidentemente non sono bastati.

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