Sarà una campagna elettorale dura, durissima. Nonostante Matteo Renzi ripeta come un mantra che il Partito Democratico sarà la prima forza parlamentare dopo le elezioni, i sondaggi fotografano una situazione a dir poco allarmante. In nessuna delle ultime dieci rilevazioni effettuate a livello nazionale, il Pd supera il 26 per cento. In quattro delle ultime sei è addirittura sotto il 25 per cento. Meno di quanto prese Bersani nel 2013, un termine di paragone da sempre utilizzato da Renzi per descrivere “la sinistra che perde”.
Con la tre giorni della Leopolda, il segretario del Pd ha dato ufficialmente il via all’operazione recupero. Proviamo quindi a capire come sarà questa campagna elettorale, quali saranno i tasti da spingere per far scattare tra i cittadini la scintilla che dovrebbe portare all’inversione di tendenza.
Forza Europa
Con la visita della scorsa settimana all’Eliseo, Renzi ha voluto rilanciare pubblicamente il suo legame con Emmanuel Macron, divenuto presidente francese proponendo un modello in netta contrapposizione a quelli nazionalistici e identitari, sia di destra che di sinistra. C’è quindi da aspettarsi che Renzi – anche grazie all’appoggio della lista composta da radicali e liberali – si voglia connotare come unica forza saldamente europeista tra quelle che si fronteggeranno alle elezioni. Addio (almeno per il momento) agli attacchi alla burocrazia opprimente e ai tecnici di Bruxelles. Più spazio alla narrazione di un’Europa come destino comune e traguardo da difendere e rafforzare democraticamente, con elezione diretta del presidente della Commissione e composizione di liste transnazionali.
Le tre Italie
Come abbiamo capito dal discorso della Leopolda, Renzi non abbandonerà, anzi incrementerà gli sforzi per comunicare un’idea di Pd come unico argine ai populismi vecchi e nuovi. “Noi siamo diversi da M5s e dal centrodestra. Noi siamo quelli dell’Europa, non della doppia moneta. Noi siamo quelli della crescita, mentre M5s teorizza la decrescita felice”. Un meme del Pd in rete parla proprio di “tre Italie: quella del passato rappresentata da Berlusconi, quella della paura di Di Maio e dei Cinque Stelle e quella dei giovani e del futuro, quella del Pd”.
Un programma vero
Per portare avanti l’immagine dell’unica forza di governo veramente credibile, Renzi, come già fatto finora allo sfinimento, punterà sui risultati ottenuti dal “governo dei mille giorni”, ovvero il suo. Nessun passo indietro sui provvedimenti più contestati, a partire dal Jobs Act, “anzi, ne serve un altro”. E ancora, gli 80 euro, pronti per essere ampliati a tutte le famiglie con figli. Ma è fuori di dubbio che quanto fatto fino ad oggi non basta. Le prossime settimane saranno decisive per scrivere un programma vero. Cosa che non fece Bersani nel 2013, convinto di avere la vittoria elettorale in tasca, salvo poi correre ai ripari “con gli 8 punti del cambiamento” proposti ai Cinque stelle dopo il voto. Non un’opera omnia illeggibile, stile Unione del 2006, ma un programma semplice, comprensibile e ricco di idee nuove. Sarà decisivo l’apporto dei (pochi) consiglieri fidati di Renzi: Tommaso Nannicini (al momento impegnato ad Harvard), Luigi Marattin e l’economista ‘ottimista’ Marco Fortis, sempre più voce ufficiale del Pd quando si parla di lavoro.
Smanettoni e fake news
Come si è capito da questi ultimi giorni, uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale sarà la battaglia contro le fake news. Al di là dell’opera di denuncia, che sarà accompagnata da un rapporto quindicinale stilato dal Pd sulle “bufale” che circolano in rete, la missione è quella di combattere l’industria della fake news sullo stesso piano, quello dei numeri sulla rete. Un’impresa ai limiti, come si è già visto in occasione della campagna referendaria. Il Pd paga il fatto di aver cominciato tardi e male l’opera di penetrazione sui social network. Quella che doveva essere la piattaforma di riferimento per il popolo democratico sul web, l’app-piattaforma Bob, è già caduta nel dimenticatoio. Il palinsesto renziano formato dalla rassegna stampa #OreNove e dall’approfondimento #TerrazzaPd sopravvive nell’indifferenza generale, il quotidiano in pdf Democratica non si capisce bene cosa sia. Per questo una squadra di esperti sta provando (faticosamente) a lavorare su concetti fino ad oggi assolutamente estranei ai dirigenti del Pd, come SEO e ottimizzazione dei contenuti per Google e per Facebook. La sensazione è che sia un po’ troppo tardi per colmare il gap, in particolare anche con il Movimento 5 Stelle.
Le liste… utili
Dal web al territorio. Inutile dire che con il no al voto disgiunto voluto e ottenuto dal Pd con il Rosatellum bis, decisiva sarà la scelta dei candidati che correranno per i collegi uninominali. Benché la quota maggioritaria rappresenti solo il 36% dei seggi della Camera, infatti, l’impossibilità di scindere il voto tra il candidato e la lista, rende il sistema determinante per la vittoria finale. Il mancato accordo con Mdp rischia, come dimostrano molti sondaggi, di far perdere al Pd un significativo numero di collegi, soprattutto nelle regioni in cui molti erano considerati certi, come l’Emilia-Romagna e la Toscana. Quando si arriverà al dunque, la campagna sul voto utile per non favorire destra e grillini sarà battente. Così come la scelta delle personalità da far correre nei collegi. Il sogno di Renzi è quello di coinvolgere il più possibile personalità della mitologica società civile ma per il momento lo scouting – con l’eccezione di Paolo Siani, fratello di Giancarlo, il giornalista ucciso dalla camorra – non sta dando i frutti sperati. In mancanza di valide alternative, saranno i big del partito a doversi giocare i seggi (e metterci la faccia) nei collegi più in bilico.
Meno Giglio, più squadra
Quello delle liste è un discorso che si ricollega al concetto di squadra che Renzi ha voluto rendere evidente nei tre giorni della Leopolda. Solo qualche settimana era impensabile che il segretario si prestasse ad un duetto sul palco con Dario Franceschini, cosa che invece è avvenuta a Firenze. I rapporti gelidi con gli altri pesi massimi del Pd (Minniti, Delrio) sembrano acqua passata. Renzi è convinto che se riuscirà a lasciarsi alle spalle il perenne dibattito interno, anche i sondaggi ricominceranno a sorridere. Per questo si è persuaso che serva davvero un gioco di squadra, con ruoli ben definiti. In questo schema, alcuni ingombranti petali del Giglio magico, a cominciare a Boschi e Lotti, avranno un ruolo meno in vista. Il che non significa che avranno meno potere, ma che lo eserciteranno con più discrezione.
Ai grandi vecchi grazie di tutto…
Il coinvolgimento dei padri nobili del Pd, a cominciare a Piero Fassino, proseguendo poi con Romano Prodi e Walter Veltroni, nel tentativo di convincere gli scissionisti a fare un passo indietro e riaprire un dialogo è stato evidente e ampiamente descritto. “Tentativo fallito, grazie di tutto”, così si potrebbe riassumere il pensiero odierno di Renzi. Ora il segretario vuole trasmettere l’idea di un partito giovane, con gli occhi rivolti al futuro. Di qui la scelta di mettere in bella mostra, in ogni occasione, i volti freschi dei cosiddetti Millennials, i ragazzi degli anni ’90, introdotti simbolicamente in Direzione e accompagnatori ufficiali sul treno dell’ascolto. A loro – proprio in contrapposizione al vecchio ceto politico – Renzi ha affidato le chiave della Leopolda. Sempre a loro vuole affidare l’operazione restyling di un partito giudicato espressione delle fasce più in là con l’età.
Meno presenzialismo
La grande operazione del viaggio in treno in giro per l’Italia, inutile girarci intorno, è stata un mezzo fallimento. Non tanto a livello pratico, quanto più a livello mediatico. Chi l’ha ideato dirà che l’obiettivo non era quello di finire in prima pagina sui giornali o in testa alle notizie dei tg, ma non è così. Ci si aspettava un altro impatto. Anche a livello di accoglienza sul territorio, vale lo stesso discorso. Non colpiscono le contestazioni e neppure le manifestazioni di benvenuto. Colpisce il fatto che sia nel primo che nel secondo caso parliamo di poche decine di persone, cosa inusuale quando si parla di Renzi. Per questo, probabilmente, la campagna elettorale non sarà costruita su estenuanti tour a tappeto in giro per l’Italia, ma su alcuni eventi mirati dall’alto valore simbolico. Meno “one man show”, più pragmatismo.
Pronto al passo indietro
Se i sondaggi non dovessero migliorare con l’avvicinarsi delle elezioni, c’è chi non esclude che Renzi possa prendere una decisione drastica: indicare un nome alternativo al suo come candidato premier “ufficiale” del Pd. In questo senso, a giudicare anche dagli indici di gradimento, il nome sarebbe quello dell’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, di gran lunga l’uomo politico di cui gli italiani si fidano di più. E’ uno scenario considerato al limite ma non è da escludere. Una cosa è certa: se Renzi farà mai un passo indietro lo farà solo quando capirà che sta andando incontro ad una sconfitta pesante e quindi si vedesse obbligato a giocare l’ultima carta possibile.
E i soldi?
Con quali soldi verrà pagata la campagna elettorale? Sicuramente non con quelli del Pd, che è in rosso di quasi dieci milioni e ha messo in cassa integrazione tutti i suoi dipendenti. Al centro dell’attività finanziaria dei prossimi mesi ci sarà la fondazione Open, emanazione diretta del renzismo che, come ha messo in luce la recente inchiesta dell’Espresso, sta attirando le donazioni dei maggiori investitori (al contrario di quelle dirette al Pd, che sono invece crollate). Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma rispetto al passato che porterà con sé anche un radicale mutamento di approccio nei confronti della politica: sempre più legata a formazioni personali, sempre meno rappresentazione di una vera comunità. E’ il risultato del taglio al finanziamento pubblico voluto quattro anni dal Pd per non lasciare campo libero ai movimenti anti-sistema. Solo il tempo dirà se questa sarà stata una stata vincente o un drammatico autogol.