“Munti e munti ‘un s’incontranu mà”: monti e monti non s’incontrano mai. Così recita un noto proverbio siciliano. Invece – prosegue – le persone, prima o poi, s’incontrano. Ecco, in questa campagna elettorale siciliana, il Partito Democratico e Mdp (ossia buona parte del “vecchio” Pd) non si sono mai incontrate, assomigliando a due montagne, ognuna arroccata sulla propria posizione. Il problema è che, delle due, una la si riteneva una vetta, se non alpina, quanto meno appenninica, l’altra poco più che una collinetta. Stando ai sondaggi, il quadro, a livello nazionale, è ancora questo. Ma a livello locale, alla vigilia del voto che definirà il futuro della Sicilia, le cose sono ben diverse.
L’incapacità di trovare un accordo politico, che avrebbe potuto consentire al centrosinistra di presentarsi unito all’appuntamento elettorale e provare a misurarsi (quasi) alla pari con la destra e il Movimento 5 Stelle, potrebbe penalizzare il Pd molto più di quanto non sembri poter fare con l’area alla sua sinistra. Le ultime rilevazioni prima del voto del 5 novembre, infatti, fotografano due testa a testa: uno tra Nello Musumeci, sostenuto da una coalizione di centrodestra unitaria, e Giancarlo Cancelleri, candidato pentastellato, per la vittoria finale. L’altro tra il rettore Fabrizio Micari, – la personalità civica scelta dal Pd, su indicazione di Leoluca Orlando – e Claudio Fava, il nome forte della sinistra antirenziana. Una prospettiva da incubo, quella del sorpasso di Fava su Micari, che ha indotto lo stesso Renzi a tenersi sostanzialmente alla larga dalla campagna elettorale, preferendo trascorrere gli ultimi giorni prima del voto a Chicago, per presenziare al lancio della nuova fondazione di Barack Obama. Come se la lontananza fisica e il “non metterci la faccia” possano in qualche modo alleviare il (previsto) sberlone elettorale.
In realtà il segretario del Pd è rimasto l’unico – almeno a parole – a non ritenere quello siciliano un test che possa avere delle pesanti ripercussioni a livello nazionale. La verità è un’altra. La posta in gioco, a questo punto, è altissima. E non riguarda più, per il Pd, ormai da mesi, la possibilità di vincere o meno. Ciò che può cambiare, dopo il 5 novembre, sono i rapporti di forza dentro il largo e litigioso campo del centrosinistra italiano. Un esito elettorale che veda finire Fava davanti a Micari sarebbe un cataclisma per Renzi e per il Pd. Ma anche una percentuale a due cifre del candidato della sinistra potrebbe essere un messaggio politico molto preoccupante per il Nazareno. Dove più si avvicina il voto di domenica e più sale la tensione. Tanto che il nuovo ordine di scuderia, dopo mesi di ostentata indifferenza, è diventato quello di sparare a zero proprio contro Mdp.
In realtà il segretario del Pd è rimasto l’unico – almeno a parole – a non ritenere quello siciliano un test che possa avere delle pesanti ripercussioni a livello nazionale. La verità è un’altra. La posta in gioco, a questo punto, è altissima. E non riguarda più, per il Pd, ormai da mesi, la possibilità di vincere o meno
Il messaggio potrebbe essere indirizzato a molteplici destinatari.
Il primo destinatario è quella larga fetta di elettorato di sinistra, ormai restia ad affidare il proprio voto al Pd, che, di colpo, potrebbe trovare una prospettiva finalmente votabile, anche in ottica nazionale. Dal momento della scissione in avanti, infatti, i sondaggi non hanno mai certificato un vero travaso di voti dal Pd verso la sua sinistra, assegnando ad Mdp percentuali appena (forse) sufficienti a garantirgli l’ingresso in Parlamento. Un’affermazione del candidato siciliano potrebbe in questo senso provocare degli smottamenti anche a livello nazionale.
Anche perché – e qui giungiamo al secondo destinatario – un altro pezzo di quello che era l’establishment democratico potrebbe essere ora attratto dalle sirene di una nuova creatura di sinistra. O meglio, da una nuova idea di centrosinitra. Quella che ora è un’area tenuta insieme esclusivamente dall’avversione personale nei confronti di Renzi, plasticamente rappresentata da D’Alema e Bersani, potrebbe cominciare a brillare di luce propria. Pietro Grasso, ma anche Laura Boldrini, sarebbero, in quest’ottica, due testimonial perfetti per far uscire la sinistra dal cono d’ombra dell’antirenzismo.
Il terzo destinatario, infine, è il nocciolo duro di quelli che Renzi considera i “notabili” del Pd. Che non sono identificabili con la sinistra interna, ma con tutti coloro che da mesi covano il desiderio di vedere il leader costretto a fare un passo a lato prima delle elezioni. I Franceschini, gli Orlando e non solo, vedono nell’ex premier l’unico vero ostacolo alla costruzione di una coalizione ampia. E, cosa non di secondo piano, temono che il segretario voglia avere la prima e l’ultima parola sulla composizione delle liste elettorali, lasciando loro solo gli avanzi.
Ecco perché la partita che si gioca in Sicilia, al di là di come andrà a finire (che vada a finire male per il Pd è quasi scontato), è un pezzo fondamentale del campionato che si sta giocando già da mesi e che rischia di lasciare sul campo ancora molte vittime illustri.