Se in Inghilterra ti chiami Catherine, in Portogallo sarai obbligata a cambiare nome e diventare Caterina. È una delle tante stranezze che avvolgono il mondo dei nomi. Ogni Paese segue proprie regole, prevede alcune proibizioni (alcune molto ragionevoli, altre meno), impone dei limiti. Non c’è niente di più personale del modo in cui ci si chiama. Ma è anche, al tempo stesso, un affare di Stato molto importante.
Se, come si è detto, il Portogallo proibisce ogni versione anglicizzata di nomi portoghesi (Catherine per Caterina) per mantenere viva la tradizione e la lingua del Paese, in Arabia Saudita si va ancora di più sul pesante. Nel 2014 il ministero dell’Interno aveva stilato e diramato una lista dei 51 nomi proibiti. Tra questi figurava Alice, Maya e – guarda guarda – Abdul Nasser. Forse per cancellare ogni associazione possibile con il governante egiziano Gamal Abdul Nasser? Pare evidente.
Paese che vai, insomma, proibizione che trovi. Contro ogni forma di moderno politicamente corretto, sia Germania che Danimarca hanno deciso di impedire l’esistenza di nomi dal genere neutro. I danesi ci tengono così tanto che, addirittura, hanno fornito una lista di 7.000 nomi da cui i genitori possono scegliere. Non uno di più, non uno di meno. Ogni nome al di fuori dovrà essere valutato caso per caso. Di sicuro né lì né in Germania non sono ammessi né Taylor (vale sia per donne che uomini), Ashley, Morgan e Jordan.
Certe regole, però, sono sagge. Contrastano la stupidità di chi, ad esempio, vorrebbe chiamare il proprio figlio in modo strano. La Francia dà il potere alle anagrafi di non registrare nomi ridicoli o “pericolosi”. In Germania fuziona allo stesso modo: non si può chiamare un bambino “Osama bin Laden”, per esempio (ma chi dovrebbe mai farlo, poi?), né “Adolf Hitler” (stessa domanda di prima) e nemmeno “Elvis”. Il nome “Metallica” per una persona è bandito in Svezia, mentre in Messico è proibito usare “Rambo”, “Batman” e “Scroto”. E per fortuna che in Malesia sono fuori legge nomi come “Sexual intercourse” e “Smelly Head”.
Del resto, sono da benedire i legislatori che hanno deciso di impedire di scegliere nomi di brand, come “Facebook” (proibito sempre in Messico), “Nutella” (Francia), “Ikea” (Svezia), “Mercedes” e “Chanel” (Svizzera). Sono da lodare anche quelli che, per legge, non permettono di usare “Lucifero” (Germania e Nuova Zelanda), mentre in Svizzera sono banditi tutti “i cattivi della Bibbia”. Per cui, di sicuro, niente “Giuda”.
Il giro del mondo dei nomi proibiti non può dimenticare, infine, la saggia norma malese di non chiamare i figli con nomi di animale (in Italia, in certa misura, è concesso: si pensi ai “Lupo”, “Leone” e “Orso”) e quella, stranissima, islandese, secondo cui i nomi non possono avere al loro interno lette come la “C”, la “Q” e la “W”. Non rientrano nel loro alfabeto, di conseguenza non rientrano nella loro anagrafe.