L’attentato di Manhattan ad opera di Sayfullo Saipov, anni 29 dall’Uzbekistan, ha fatto tornare d’attualità nel peggiore dei modi il dibattitto sull’immigrazione in corso in America.
Anche laggiù, come da noi, l’immigrazione è carne da macello elettorale, e i compartimenti stagni con cui siamo soliti misurarci a casa nostra ritornano diversi nella forma ma identici nella sostanza. Da una parte i Liberal Metropolitani, equivalenti dei nostrani Uomini Buoni, racchiusi in una bolla di benessere economico e superiorità etica, e dall’altra i Fasci di Campagna che, forcone alla mano, rivendicano un concetto di purezza della razza piuttosto improbabile in un Paese fino a qualche tempo fa popolato esclusivamente da bisonti e dai Nativi Americani.
Il problema è che le modalità che consentirono a Mr. Saipov di trasferirsi negli Stati Uniti suonano molto discutibili, a prescindere che al mattino si sia soliti fare tai-chi a Central Park prima del brunch o spalare letame in qualche depressa borgata del Mid-West.
Saipov entra negli USA nel 2010, grazie alla “Diversity Lottery”, meglio conosciuta come “Green Card Lottery”, un sistema che funziona esattamente come la tombola: compri un biglietto e se ti estraggono, ecco la Green Card. Non contano i tuoi titoli di studi, non contano i riconoscimenti professionali che hai ricevuto in carriera, non contano i legami di sangue che puoi avere con cittadini residenti sul suolo americano: a meno che tu non sia affetto da gravi malattie infettive, tutti i severissimi parametri con cui gli Stati Uniti di Obama regolamentano l’immigrazione – roba che da noi neppure Vittorio Feltri armato di Tavernello si sognerebbe mai di proporre – si annullano davanti alla potenza della Dea Bendata.
Le origini di un questo assurdo meccanismo rimandano al 1965, quando venne abolito il sistema delle quote nazionali. Accusato di favorire l’Europa a scapito di Asia e Africa, il sistema che permetteva a un numero fisso di persone provenienti da un certo Paese di trasferirsi in America venne eliminato a favore di uno basato sul concetto di riunificazione familiare. Ma nel 1986 si pensò di introdurre una misura alternativa per favorire una sorta di “immigrazione di qualità”: se per comprare un biglietto alla lotteria si doveva pagare profumatamente, questo avrebbe dovuto escludere dal lotto dei partecipanti i cittadini di quei Paese che gli Americani, notoriamente digiuni di conoscenze geografiche, nemmeno sanno piazzare sulla cartina. Si noti il sottotesto squisitamente classista del sistema (che, si badi bene, fino all’altro ieri non è mai stato messo davvero in discussione da nessuno ad eccezione di Donald Trump): se faccio entrare negli USA cittadini ricchi, allora tali cittadini posso permettermi di non controllarli nemmeno, perché in quanto ricchi saranno per forza di cose brave persone. Ma col passare del tempo e con la progressiva estensione del sistema capitalista a zone del mondo che nel 1980 ne erano escluse, ecco che la lotteria ha cessato di essere esclusiva di Europei annoiati in ufficio e desiderosi di cambiare vita, per diventare un disperato sogno globale che ogni anno attira milioni di partecipanti da tutto il globo.
Saipov entra negli USA nel 2010, grazie alla “Diversity Lottery”, meglio conosciuta come “Green Card Lottery”, un sistema che funziona esattamente come la tombola: compri un biglietto e se ti estraggono, ecco la Green Card. Non contano i tuoi titoli di studi, non contano i riconoscimenti professionali che hai ricevuto in carriera, non contano i legami di sangue che puoi avere con cittadini residenti sul suolo americano
Oggi i Liberal Metropolitani chiedono a gran voce la revisione di un sistema che ogni anno garantisce l’accesso negli USA a 50 mila persone e porta nelle casse del Paese decine e decine di milioni: ma si dimenticano di spiegare perché, fino ad adesso, non hanno avuto niente da dire su un sistema vomitevole sul piano etico, attraverso al quale lo Stato – di fatto – si fa un po’ scafista e un po’ biscazziere, speculando sui sogni delle persone.
La “lottery”, tuttavia, è solo la punta dell’iceberg. E’ vero che 50 mila persone costituiscono comunque una minima parte del totale di immigrati che ogni anno arriva negli Stati Uniti – un numero che ogni anno si misura nell’ordine di milioni: ma quelle 50 mila persone, a loro volta, acquisiscono il diritto a far entrare nel Paese coniugi e figli. E in capo a cinque anni, quando la Green Card si trasforma in vera e propria cittadinanza, il diritto al ricongiungimento può essere esteso anche a fratelli, sorelle e genitori. Insomma: un immigrato che abbia avuto la fortuna di vincere la lotteria può chiedere e ottenere l’ingresso di un intero bastimento di persone mentre altri, che hanno dovuto sottoporsi all’estenuante processo di controllo che regolamenta le richieste di visto o di Green Card, possono tranquillamente vedersi negato l’accesso per sempre. Non basta: passato qualche anno, i membri di questo bastimento di fortunelli hanno a loro volta diritto a chiedere l’ingresso dei loro parenti, in una lunga catena di Sant’Antonio.
Sono questi gli effetti di un sistema basato esclusivamente sul vincolo familiare che l’Amministrazione Trump ha deciso di mettere in discussione, proponendone uno basato sul merito, dove a fare la differenza sono parametri come la conoscenza della lingua, i titoli di studio, le competenze certificate. In un Paese dove lo ius soli (quello vero, non il surrogato che noi non riusciamo ad approvare) è sancito dalla Costituzione, perché impedire l’accesso a un medico asiatico o a un ingegnere informatico indiano che potrebbero contribuire al progresso della comunità e spalancare le porte in automatico a chi non ha altro da offrire che un parentela? Presa la decisione di emigrare, esiste un diritto giuridico intrinseco che obbliga uno Paese ad accogliere anche il padre anziano o il fratello dell’immigrato?
Domande che non suonano affatto pretestuose, eppure accolte da una levata di scudi. Trump è stato accusato di razzismo, di crudeltà, di voler dismettere il tradizionale ruolo dell’America come “Salvatrice delle masse oppresse” così come scritto sul piedistallo della Statua della Libertà.
Tuttavia, almeno stavolta, c’è chi è riuscito ad andare oltre l’ideologia. La questione della “merit-based immigration” ha diviso le redazioni dei media liberal come una lama nel burro, e pur dando spazio a numerosi appelli strappalacrime contro l’ennesimo atto di “bullismo politico” di Trump, in molti hanno pubblicato interventi di segno opposto.
L’NBC, Bibbia democratica da sempre in prima linea contro Trump, ha fatto notare che se il principale argomento per sbarrare la strada a una riforma basata sul merito è “la compassione”, si deve allora spiegare dove sia questa compassione nel momento in cui i parenti “ricongiunti”, che spesso non parlano la lingua e non hanno alcuna competenza da spendere sul mercato, sono lasciati per strada senza lavoro (obiezione che andrebbe immediatamente estesa ai Boldrini e alle Boldrine di casa nostra).
Rinomati professori universitari hanno sostenuto sul New York Times che introdurre un sistema orientato al merito porterebbe a un impoverimento di quella mano d’opera a basso costo “fondamentale per la nostra economia”. Tuttavia la stessa NBC ha fatto notare come a mancare oggi, in America, non siano i venditori di hot dog ma i medici di base: i dati dell’American Medical Colleges dicono che per il 2030 ne mancheranno 43 mila. E in un Paese con la sanità privata, dove l’Obama Care è costantemente sull’orlo della cancellazione, la mancanza di medici di base (“primary care doctors”) avrà sicuramente conseguenze tragiche per i settori più esposti della popolazione.
L’NBC, Bibbia democratica da sempre in prima linea contro Trump, ha fatto notare che se il principale argomento per sbarrare la strada a una riforma basata sul merito è “la compassione”, si deve allora spiegare dove sia questa compassione nel momento in cui i parenti “ricongiunti”, che spesso non parlano la lingua e non hanno alcuna competenza da spendere sul mercato, sono lasciati per strada senza lavoro.
Perché allora non importarli dall’estero? Perché non avere compassione anche per il Paese e permettere a qualificati lavoratori stranieri di venire negli USA a darsi da fare per il progresso della comunità?
Un concetto talmente dritto da far sorgere un sospetto: quello che ai ricchissimi Uomini Buoni a Stelle e Strisce gli immigrati vadano bene quando servono i caffè che riempiono le loro scrivanie, cucinano i tacos che mangiano nei Deli a pranzo o versano il vino che allieta i loro appuntamenti organizzati su Tinder. E che se invece si tratta di averli in gara come potenziali concorrenti per il vero Sogno Americano, allora vadano tenuti a distanza di sicurezza.
L’attentato di Sayfullo Saipov, con la sua folle storia di vincitore di una lotteria, ha rimesso tutto in discussione: vedremo se l’opinione pubblica avrà la forza e il coraggio necessario per ammettere che, proprio come l’orologio rotto che due volte al giorno segna l’ora esatta, anche Trump può avere avuto una buona idea.