In America la questione razziale non finisce mai

Come racconta Katherine Bigelow in ”Detroit”, in America c'è una questione razziale che causa centinaia di vittime all’anno. Una piaga insanabile nel cuore dell’Occidente

Trayvon Martin, Oscar Grant, Michael Brown, Eric Garner, Jordan David, Renisha McBride, Tamir Rice, Walter L. Scott. Magari qui in Italia sono nomi che non dicono nulla, spariti dalla cronaca quotidiana dopo poche ore, soprattutto da questa parte dell’oceano. Oppure, peggio ancora, rubricati sotto la voce “scontro a fuoco” o “violenza sulle strade americane”. Piccolo particolare, erano tutti giovani o giovanissimi ragazzi neri. Altro piccolo particolare, sono stati tutti uccisi per questioni razziali. Se non i nomi, sono i numeri a parlare: più di un quarto della popolazione afroamericana vive ancora in condizioni di povertà (tra i bianchi la perceutale scende al 10,8%). Soprattutto, gli afroamericani rischiano dieci volte di più di finire in galera e sette volte di più di essere uccisi, benché disarmati, dalla polizia.

Due esempi su tutti: Renisha McBride, una diciannovenne che dopo un incidente stradale aveva bussato alla porta della casa più vicina per chiedere aiuto, venendo freddata dal proprietario, Theodore Wafer, con un colpo di fucile. E Walter L. Scott, di 50 anni, che durante un alterco con un poliziotto aveva cercato di rubargli il taser ed è stato crivellato da otto colpi d’arma da fuoco, nonostante fosse disarmato e in fuga.

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«Milioni di conversazioni sull’identità afroamericana si stanno svolgendo in questo momento in America», ha recentemente dichiarato a «la Lettura» Margo Jefferson, autrice di Negroland, memoir che molti hanno definito il libro dell’anno, ha scalato le classifiche dei migliori libri dell’anno, riportando al centro del dibattito culturale il processo a un Paese che avrebbe fondato la sua idea di progresso sulla pelle degli afroamericani.

Lo stesso si può dire di un film come Detroit di Katherine Bigelow, in uscita in Italia il 23 novembre, che impatta sul dibattito contemporaneo raccontando il massacro del motel Algiers, nel contesto di quattro giorni di rivolte in seguito alla chiusura di un bar privo di licenza. Rivolte concluse con l’intervento dell’esercito e un bilancio da guerra civile: 43 morti, 1.189 feriti, più di 7.200 arresti e oltre 2.000 edifici distrutti: «In America sembra esserci il desiderio radicato di non affrontare la questione razziale. E quindi questi eventi continuano a ripetersi», ha dichiarato la Bigelow in una recente intervista. Che, in fondo, non c’è modo migliore del raccontare la Storia, per affrontare la cronaca.

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