La (non) presenza delle donne in televisione: sceme o discriminate?

Sempre di meno le donne nei talk show, a parte le solite note. Cosa rimane delle donne nei nostri palinsesti? Poco. E perché non ce ne sono di più? Perché il meccanismo non funziona

Dopo la rampantissima stagione del Bunga Bunga, quando la parità di genere negli studi televisivi sembrava quasi un obbligo costituzionale per svolgere il tema “Berlusconi maschilista”, la presenza delle donne nel talk show politici si è fatta prima flebile e poi è svanita nel quasi-inesistente. La diretta-cult del giornalismo, la famosa Maratona Mentana, le ha pressochè abolite. A Di Martedì, la media ordinaria è 3 su 17 ospiti. A Carta Bianca si viaggia sulle stesse percentuali. E, come dice Sofia Ventura, i casi sono due: «O le donne sono naturalmente non portate al pensiero astratto e conseguentemente a quello politico, hanno cioè limiti cognitivi – tesi peraltro sostenuta per secoli – oppure sono discriminate».

Sposiamo senz’altro il primo caso, a titolo di provocazione. Siamo sceme. Scompariamo dal dibattito in quanto incapaci di sostenerlo e quindi di reggere la conversazione con un minimo di dignità argomentativa. Siamo lagnose, tendiamo al vittimismo. Tra l’altro adesso, con questa storia delle molestie, vai a vedere. Magari uno ci tocca il ginocchio e noi lo denunciamo. Meglio non rischiare e lasciare la scena a quelle che Sofia Ventura (andatevi a vedere la sua bacheca Fb: è un bel dibattito) chiama le «chiacchiere circolari» del confronto «tra maschi, rigorosamente maschi».

Nell’harem-al-contrario dei signori uomini non ci sono sorprese: la giovane promessa, l’ultimo arrivato in promozione, il matrono saggio, lo scapigliatello, il litigioso. Ognuno svolge il suo ruolo con totale prevedibilità, e anche la sparata inattesa è in realtà una sparata da copione, tale-e-quale a quelle dell’anno prima e di due anni fa. «Ruminare l’identico», dice Fabio Martini della Stampa, e ha ragione. Tantoché le poche sopravvissute all’abolizione delle donne sono giustamente quelle che, a lume di naso, stanno lì perchè scelte da uomini, e quindi sanno fare con grazia ciò che ci si attende da loro: non rompere le scatole, soprattutto.

Le poche sopravvissute all’abolizione delle donne sono giustamente quelle che, a lume di naso, stanno lì perchè scelte da uomini, e quindi sanno fare con grazia ciò che ci si attende da loro: non rompere le scatole, soprattutto.

La tesi balzana di Sofia Ventura è che in realtà le donne politologhe, giornaliste, opinioniste, proprio perché sopravvissute alla competizione durissima di «un mondo di maschi e di maschilismo», proprio perché scampate alla selezione darwiniana che ha spianato le meno attrezzate, potrebbero «essere rivoluzionarie», offrire spunti di anticonformismo che i ruminatori dell’identico non immaginano nemmeno. Bah. Magari è il contrario: se qualcuna è sopravvissuta, significa che il meccanismo non funziona bene. Ma lo si può perfezionare, ed eliminare anche queste ultime sacche di presuntuosa saccenza.

Sono ad esempio sfuggite alla centrifuga Lucia Annunziata, Lilli Gruber e Bianca Berlinguer. Hanno più o meno la stessa età e sono il prodotto dell’antica stagione in cui ancora si credeva che le donne potessero maneggiare il pensiero astratto. A tutte noi toccherà accontentarci di questa quota di rappresentanza: di più non si può avere, di più non si avrà, e nel caso fossimo scocciate della cosa, c’è la fiction, c’è Rosy Abate, c’è la fidanzata del Commissario Montalbano, o al limite Downton Abbey, che la roba da donne è quella, come tutti sanno e solo poche indemoniate si ostinano a non capire.

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