La campagna elettorale entra nel vivo. E sulla scena del dibattito sul futuro del lavoro torna lui, l’immancabile articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo strappo tra il Pd renziano e la nascente “cosa rossa” si consuma soprattutto su questo. L’unica nuova proposta della sinistra, a sinistra, per far risorgere il mercato del lavoro, contro robot e precarietà, è che stavolta l’articolo 18 venga addirittura rafforzato rispetto all’impianto del 1970. È la contrapposizione tra il vecchio contratto a tempo indeterminato e le tutele crescenti renziane, che terrà banco (di nuovo) fino alla fine della legislatura.
A quasi tre anni dall’abrogazione dell’articolo 18, il 20 novembre alla Camera si apre la discussione sulle proposte di legge di Mdp e Sinistra italiana per la reintroduzione delle vecchie regole sul licenziamento e addirittura l’estensione alle aziende con più di cinque dipendenti. Sul tavolo c’è il reintegro nel posto di lavoro per tutti i licenziati senza giusta causa, per di più applicandolo a una platea molto più ampia. Il vecchio articolo 18, messo in soffitta dal Jobs Act, si applicava infatti alle imprese con più di 15 dipendenti.
La proposta base porta la firma dell’ex Pd Francesco Laforgia, ora deputato di Mdp. E a questo testo ne è stato affiancato un altro di Sinistra italiana, di cui è primo firmatario Giorgio Airaudo, ex Fiom-Cgil. «La proposta parte dai 3,3 milioni di firma raccolte dalla Cgil per la richiesta di un referendum sul Jobs Act», spiegano da Sinistra italiana. Referendum mai celebrato, in realtà, perché non ammesso dalla Corte costituzionale. E ora si tenta di far rientrare il quesito dalla finestra, approfittando della campagna elettorale.
Il ritorno all’articolo 18 è anche uno dei cavalli di battaglia dei Cinque stelle: i grillini propongono la reintroduzione delle norme precedenti al 2015, senza modificare però il numero dei dipendenti ai quali si applica. Ma a sinistra, per differenziarsi, chiedono addirittura un rafforzamento rispetto all’era pre-renziana. È una sorta di lotta all’articolo 18 più articolo 18.
I grillini propongono la reintroduzione delle norme precedenti al 2015, senza modificare però il numero dei dipendenti ai quali si applica. Ma a sinistra, per differenziarsi, chiedono addirittura un rafforzamento rispetto all’era pre-renziana. È una sorta di lotta all’articolo 18 più articolo 18
Se passasse la proposta, sarebbe come depennare il cuore del Jobs Act. Tanto che dal Pd si vuole evitare il clamore del voto in aula, buttando la palla in tribuna e facendo tornare la discussione in commissione Lavoro, presieduta dal dem Cesare Damiano. Dove la proposta molto probabilmente sarà affossata fino a fine legislatura.
Tutt’al più potranno essere presentate proposte di modifica della disciplina dei licenziamenti come emendamenti alla legge di bilancio. Senza dare l’idea quindi che si faccia un passo indietro sul Jobs Act. Anche perché, nelle offerte che il messaggero Piero Fassino sta portando in dono alla sinistra in cerca di un accordo, c’è anche un documento programmatico sul Jobs Act. La proposta del Partito democratico sarebbe di rafforzare i risarcimenti previsti in caso di licenziamento senza giusta causa, passando dal minimo delle quattro mensilità previste ora alle otto, mentre il massimo salirebbe da 24 a 36 mesi. «In questo modo per le imprese licenziare sarebbe meno favorevole», ha spiegato Damiano.
«L’articolo 18 è stato l’architrave del sistema dei diritti del lavoro negli anni Settanta ma nell’economia digitale bisogna trovare un altro perno», ha dichiarato l’ex Sel e Cgil Titti Di Salvo, relatrice per il Pd, che ha già dato parere negativo in commissione. «I lavoratori precari non si difendono più con il reintegro, bisogna puntare invece su formazione, equo compenso e salario minimo». Ecco perché, ha aggiunto, «proporremo di tornare in commissione per rafforzare la tutela risarcitoria e disincentivare i licenziamenti».
Ma a sinistra non si accontentano. Il ritorno all’articolo 18 resta la proposta principale sul lavoro di dalemiani e bersaniani. La bandiera da portare in piazza e nei dibattiti tv. «Il problema non è fare un manifesto con sotto scritto abbiamo fatto la pace, il problema sono le politiche che si fanno», ha detto Roberto Speranza da Mdp. «Il Pd non deve dire “non mettiamo veti a Mdp”, deve dirci semmai se rimettiamo l’articolo 18». E Aiuraudo rafforza la posizione: «Faremo di tutto per poter discutere di articolo 18 in aula». Presentarsi come i difensori dei diritti dei lavoratori, come schiaffo finale alla legislatura renziana, e per di più sotto i riflettori di giornali e tv, potrebbe essere molto utile in chiave elettorale. Meno, forse, per il mercato del lavoro.