La situazione in Europa Centrale, tra suggestioni nazionalistiche e nostalgie del passato, rischia di essere strategicamente cruciale per tutta l’Unione. Questo viene ignorato a rischio di tutti, non solo nel nostro continente.
Tutti dovremmo ricordare che i movimenti nati e cresciuti nel cuore d’Europa hanno influenzato la direzione del mondo in molte occasioni. Questo è vero non solo per fenomeni politici: vale in campi disparati come l’arte, la medicina, le scienze fisiche, matematiche ed economiche. SI pensi a Freud e alla psicanalisi, alla scuola matematica di Gottinga, che ha formulato i più grandi problemi irrisolti e ha portato alla soluzione di tutti meno uno (l’ipotesi di Riemann), creando per ogni risoluzione un nuovo campo della scienza, agli studi sull’atomo e all’influenza di Schumpeter e Drucker sulle aziende.
Vienna, Praga, Budapest e Berlino fanno parte dell’area culturale una volta chiamata Mitteleuropa. Solo che la divisione in blocchi della guerra fredda ha portato molti a collocare queste terre in un est e ovest immaginari. Quanto questo sia errato è ovvio vedendo come Vienna, percepita come capitale di un Paese occidentale, si trovi a pochi chilometri da Bratislava, che viene considerata parte dell’est, mentre Praga, anch’essa vista come orientale, è più a ad ovest di entrambe.
La confusione geografica di molti si muove anche a livello culturale: le terre dell’ex impero austro-ungarico sono sì tra est ed ovest, ma storicamente senz’altro più occidentali che orientali.
Non a caso Vaclav Klaus, ed eccoci all’aneddoto, ex Primo Ministro e Presidente della Repubblica Ceca, oltre che economista, fece l’esempio di uno zolletta di zucchero che si scioglie nel caffè riferendosi al destino del suo Paese in un’ulteriore integrazione europea
Quest’area da qualche anno è in fermento, con movimenti conservatori quando non di estrema destra che guadagnano consensi. Eppure economicamente questi Paesi se la passano piuttosto bene, sicuramente meglio del sud Europa. Le dinamiche sottotraccia che spiegano queste affermazioni le abbiamo esaminate in precedenza. Mutatis mutandis valgono anche per gli altri Paesi, compresi Austria e Germania.
Al di là delle contingenze, Ungheria, Slovacchia e Polonia hanno senz’altro svoltato a destra da qualche tempo, da una parte criticando la sempre maggiore integrazione in Europa, dall’altra comunque stigmatizzando le ‘due velocità’. Insomma questi Paesi temono di dissolversi in un’Europa più unita, ma vogliono comunque far parte da pari di un’unione con i Paesi che li circondano.
Stavolta cercheremo di spiegare come questo sia comprensibile a livello non di gruppi di votanti ma di preoccupazioni della popolazione che, anche se spesso agiscono a livello inconscio, sono comunque comprensibili e legittime.
Come esempio prendiamo i dati di popolazione e un aneddoto.
L’Austria, piccolo Paese di meno di 9 milioni di abitanti, si trova tra un’Italia di 60 milioni e una Germania di 83. L’Ungheria ha poco meno di 10 milioni di abitanti, ed è vicina a Romania (19 milioni) e Ucraina (45 milioni). Anche se quest’ultima non fa parte dell’Unione europea, si è parlato a lungo di farla entrare. La Slovacchia ha appena 5.5 milioni di abitanti e la Repubblica Ceca, vicina e fino a poco fa unita ad essa nella Cecoslovacchia, ne ha 10.5. La stessa Repubblica Ceca si trova tra la Germania, che ha come abbiamo visto quasi 8 volte la popolazione, e la Polonia, che ha 37 milioni di abitanti.
Queste cifre da sole spiegano la preoccupazione per un’ulteriore integrazione europea: la paura è che con un voto capitario in tutta Europa la voce di queste zone venga soffocata da quella dei vicini più grandi. Non a caso Vaclav Klaus, ed eccoci all’aneddoto, ex Primo Ministro e Presidente della Repubblica Ceca, oltre che economista, fece l’esempio di uno zolletta di zucchero che si scioglie nel caffè riferendosi al destino del suo Paese in un’ulteriore integrazione europea. L’esempio non era fatto a caso, dato che il quadratino di zucchero fu inventato e brevettato proprio lì.
La risposta, durante il semestre di presidenza europeo della Repubblica Ceca, fu una pubblicità in TV nella quale celebrità e politici cechi scioglievano una zolletta nel caffè, intendendo che così si migliorano caffè e zolletta. La conclusione, comunque, è che le istanze non sono propriamente nazionalistiche quanto di rappresentanza politica.
Il mondo si muove verso l’asse del Pacifico, con Cina e USA superpotenze già del presente e del futuro. La Russia è abbastanza vicina alla Cina da avvantaggiarsene, ma un’Europa senza politica estera e difesa comuni rischia di sparire nell’irrilevanza
Il motivo per cui l’Europa Centrale non vuole perdere il treno europeo è che ha pessimi ricordi dell’occupazione sovietica e della cortina di ferro, e una Russia aggressiva come quella vista ultimamente fa paura a quelle latitudini. Allo stesso tempo il problema della rappresentanza delle istanze locali è reale e viene ignorato dal resto d’Europa a suo rischio e pericolo. Le istanze non sono troppo dissimili da quelle di catalani, fiamminghi e baschi, o del Nord Italia. In un contesto del genere abbiamo da una parte la tesi di un super Stato europeo, alla quale moltissimi, compreso lo scrivente, sono contrari. Dall’altra ci sono gli Stati nazione, sul quale l’Unione è stata fondata.
Ci sono comunque questioni geopolitiche che non si possono ignorare: il mondo si muove verso l’asse del Pacifico, con Cina e USA superpotenze già del presente e del futuro. La Russia è abbastanza vicina alla Cina da avvantaggiarsene, ma un’Europa senza politica estera e difesa comuni rischia di sparire nell’irrilevanza. Agganciarsi al progetto cinese di nuova Via della seta separatamente. Poi, significherebbe cadere sotto l’influenza di Pechino.
La sintesi logica che può funzionare deve tenere conto di quanto sopra e lasciare alle comunità locali omogenee, più che a Stati nazione per lo più eterogenei, la gestione di quanto più possibile, con meccanismi di solidarietà non infiniti. In questo contesto notiamo che Austria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria sono unità omogenee, come non lo sono né la Germania, che già infatti è federale, né l’Italia, che vede da decenni istanze autonomiste su gran parte del suo territorio, esacerbate dai trasferimenti da Nord a Sud di grandi quantità di ricchezza. Dinamiche simili avvengono in Spagna e Belgio.
Insomma una sintesi di queste tesi ed antitesi potrebbe essere un modello più confederale che federale: più Svizzera che Stati Uniti. L’alternativa è l’irrilevanza e, con essa, il declino.
La storia, che avanza a passi da gigante, ci dirà come andranno a finire le cose.