L’Italia è fuori dai mondiali (e speriamo che sia il D-Day del nostro calcio)

Siamo per i fedeli. Siamo per gli innamorati. E siamo per un’Italia che riparte dalle sconfitte e dai flop. Ci vediamo tra quattro anni. Oggi (forse) è il nostro D-Day

In silenzio. Sono stato in silenzio per circa 15 minuti, dopo il triplice fischio. Tre fischi che mi hanno trapanato la mente, l’anima e il cuore. Io sono per i fedeli, io sono per gli innamorati, per chi ci crede sempre, per chi si appassiona, per chi ci prova. Tre fischi che hanno distrutto un puzzle che non era perfetto, tutt’altro, ma poteva essere completato. Sono stato in silenzio. Quasi in stato di trance. L’Italia non va ai Mondiali dopo 60 anni dall’ultima volta. Guarderemo le partite da casa, sul divano, senza birra, senza grigliate, senza stringerci forte, senza urlare insieme, senza cantare l’inno con la mano sul cuore, senza tentare la limonata dura con la ragazza che ci piace dopo un gol. Niente di tutto questo. Non ci andiamo, non per colpa di questa partita ma per colpa di qualcosa di più grande. Non andare in Russia con quattro stelle appiccicate al petto è umiliante. Per la squadra, per i giocatori, per il commissario tecnico, per la Federazione, per il presidente. Per ilMovimento.

Se l’Italia fosse un paese che impara dai propri errori oggi sarebbe il D-Day del nostro calcio. E sarebbe bellissimo: da qui si deve ripartire perché negli ultimi 60 anni non c’è stato un momento calcistico più basso di questo. Bisogna investire sui giovani, sui settori giovanili, sul calcio come istruzione, sulla creazione di una struttura che funziona, che vive sempre non solo durante il periodo delle partite ufficiali. Ma l’Italia non è un paese che impara dai propri errori. Si butta giù, si crogiola nel malessere, si scanna, si divide in fazioni, tra chi vuole costruire e chi non vuole farlo. Siamo fuori. Siamo fuori dai Mondiali. E vaffanculo a chi non frega un cazzo, vaffanculo a chi fa finta che non gli interessi, vaffanculo a chi pensa solo a quanto guadagnano i calciatori, a chi pensa che non gli interessi nulla, a chi tanto domani vado a lavorare lo stesso. Io di questo giorno mi ricorderò tanto.

Non solo che siamo stati battuti dalla Svezia, una delle squadre meno belle da vedere degli ultimi vent’anni, ma mi ricorderò altro: l’inno di Mameli cantato a sguarciagola da Bonucci, Fiorenzi e Immobile. Le giocate di Jorginho, le lacrime di Belotti, la tenacia di Chiellini e l’addio, col groppo in gola, del portiere più forte che l’Italia abbia mai avuto, Gigi Buffon. Se oggi fosse il D-Day, però, direi grazie. Un grande grazie. Perché comunque sia andata ci avete provato, perché è inutile prenderci in giro, Totti, Del Piero, Cannavaro, Pirlo, Maldini, Vieri fanno parte di un calcio che non esiste più.
Fanno parte di qualcosa che appartiene a un passato che non ci rendiamo nemmeno conto di quanto sia lontano. Bisogna ricominciare, bisogna ripartire perché il calcio italiano ne ha bisogno. Io sono per i fedeli, io sono per gli innamorati, per chi ci crede sempre, per chi si appassiona, per chi ci prova e per chi cresce. Ci vediamo tra quattro anni. Oggi è il nostro D-Day. Grazie Italia.

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