Viva la FifaNon lasciate ogni speranza: siamo già nell’anno uno del calcio italiano

Calpesti e derisi dalla Svezia, gli Azzurri affrontano ora uno dei periodi più difficili di ricostruzione della propria storia. Ma là dove si vedono solo macerie, scavando nemmeno troppo in profondità ci sono le fondamenta per ripartire più che bene

Per l’Italia è finito il Mondiale, ma non finisce il mondo, ha scritto qualche giorno fa sul Corriere Massimo Gramellini quando la ferita per la prima esclusione azzurra dalla Coppa del Mondo dopo 60 anni era ancora fresca. No, il mondo non finisce qui. Stiamo continuando a lavorare, a vivere e fare all’amore, ma il prossimo 1 dicembre nelle pot dalle quali verranno estratte le nazionali per i gironi di Russia 2018 l’Italia non ci sarà. E il colpo sarà duro da digerire, visto che il prossimo Mondiale sarà nel 2022 e quello estivo (visto che in Qatar si giocherà a fine anno) addirittura nel 2026 e magari a qualcuno non diciamo che può passare la voglia di vivere o lavorare o altro, suvvia – Il calcio è la cosa più seria tra le menio serie, diceva Mourinho – ma nella sofferenza sportiva di non poter vivere un’estate e un’avventura in più, dopo la furia dei processi sommari a mezzo stampa/bar, cerchiamo di capire da dove possiamo ripartire.

Cominciamo con il dire che l’anno zero del calcio italiano è già passato: il capodanno dell’anno uno lo abbiamo vissuto amaramente dopo l’esclusione stessa maturata nei playoff contro la Svezia. La macchina è già ripartita, il motore è acceso ed ha pure il carburante. Certo, dipende sempre da chi la guida. Ed è qui che sta il primo punto della questione, quello che non ci farebbe essere ottimisti: Carlo Tavecchio. Subito dopo il fischio finale, il pubblico deluso, amareggiato, incredulo e via di questo passo si aspettava subito le dimissioni in coppia di Ventura e di chi lo aveva scelto, rinnovandogli il contratto quando ancora la qualificazione non era stata conquistata (ma con una clausola che ne permetteva l’esonero in caso di obiettivo non centrato). Al mancato doppio foglio di via autocertificato da Tavecchio e presidente si è invece presentata per il pubblico la “beffa” di un presidente che ha deciso di restare in carica. Le dimissioni avrebbero potuto rappresentare un atto di responsabilità di fronte alla mancata qualificazione al Mondiale, ma Tavecchio ha deciso di percorrere la strada opposta, portando avanti un progetto che ora dovrà prevedere un rilancio strutturato del calcio italiano.

Strutturato, a fianco di quello strutturale che è già iniziato. A fronte di un sistema che a livello di grandi infrastrutture resta carente se non per qualche raro caso (Allianz e Mapei Stadium, oltre al Friuli/Dacia Arena), se una delle grandi critiche che viene rivolte al nostro sistema è quello del mancato lavoro sui giovani, allora va fatto notare che Tavecchio ha incentrato questo suo secondo mandato sui centri tecnici federali. Ora, sappiamo che questa parte del programma di rielezione di Tavecchio è stata messa al centro delle polemiche: la mossa del presidente sarebbe stata soprattutto politica, per ottenere l’appoggio dell’Assoallenatori guidata da Renzo Ulivieri, già nemico di Tavecchio e poi divenuto suo sostenitore, fulminato sulla via di Coverciano. Il fatto è che i centri tecnici federali, per l’esattezza denominati Centri Federali Territoriali, esistono. Al di là dell’aspetto squisitamente politico. E ne esisteranno ancora: il progetto pubblicato sul sito della Figc ne prevede 200 operativi entro il 2020 per una spesa di 9 milioni di euro e con il supporto dei man sponsor della Federazione.

Al mancato doppio foglio di via autocertificato da Tavecchio e presidente si è invece presentata per il pubblico la “beffa” di un presidente che ha deciso di restare in carica. Le dimissioni avrebbero potuto rappresentare un atto di responsabilità di fronte alla mancata qualificazione al Mondiale, ma Tavecchio ha deciso di percorrere la strada opposta, portando avanti un progetto che ora dovrà prevedere un rilancio strutturato del calcio italiano.

Il tema dei CFT non è di poco conto. Perché permette da una parte di cominciare un certo lavoro tecnico sui ragazzi (sia maschi che femmine) di età compresa tra i 12 e i 14 anni, dall’altra perché può servire a confrontarsi in maniera capillare sul territorio con una problematica che fino a qualche anno fa sarebbe stata rietnuta impensabile, impossibile, fantascientifica: l’allontanamento dei giovani dal calcio. Un esempio su tutti, quello di Milano: se nel 2009 erano 273 le scuole calcio attive nella provincia di una città dalla grande tradizione calcistica, due anni più tardi in 40 avevano chiuso i battenti, ovvero un taglio del 15%. Una problematica certo dovuta alla crisi economica, ma anche al progressivo allontanamento della gente di quartiere dai campi di periferia, con i ragazzi che preferiscono dedicarsi ad altro, E-Sport (cioè tornei sportivi di videogiochi) compresi. Ecco perchè il progetto dei CFT può essere affinato, rispondendo alle esigenze di uno sport la cui base vacilla, allargando le ore di lavoro e perché no la filosofia facendone non solo punti tecnici ma di “raccolta” dei ragazzi a livello territoriale, così come avviene in Germania con il programma Talentförderprogramm.

Ecco, la Germania. Quella che ha coltivato talenti negli anni arrivando a vincere il Mondiale 2014 dopo il disastro degli Europei 2000. Il lavoro sui giovani, reclamato giustamente a gran voce, nonostante le difficoltà negli anni ha portato la nostra Nazionale ad avere selezioni di categoria affidate ai tecnici con una lunga esperienza nel calcio professionistico e in grado di arrivare a risultati di rilievo internazionale. Due esempi sui tutti sono la Nazionale Under 19 di Paolo Vanoli (che oggi lavora nello staff del Chelsea di Conte) finalista all’Europeo nel 2016 e l’Under 20 di Alberico Evani semifinalista all’ultimo Mondiale (e poi bronzo nella finalina). Tra i vicecampioni d’Europa Under 19 – che tra l’altro hanno battuto nella semifinale l’Inghilterra poi campione del mondo – figurano ragazzi che tra Serie A e B hanno già accumulato (e stanno accumulando) esperienza: Meret (protagonista della promozione in A con la Spal), Mauro Coppolaro (Udinese, in prestito in B al Brescia), Filippo Romagna e Nicolò Barella (Cagliari), Manuel Locatelli e Patrick Cutrone (Milan) e Andrea Favilli (Juve, in prestito all’Ascoli dove in B è a quota 5 reti). A questi vanno aggiunti Riccardo Orsolini (Juve, in prestito all’Atalanta) e Rolando Mandragora (Juve, in prestito al Crotone): quest’ultimo, assieme a Romagna, Barella, Orsolini e Cutrone hanno giocato nell’ultima gara di Under 21 contro la Russia vinta 3-2. Per non parlare dei ragazzi che hanno fatto parte dell’ultima spedizione azzurra all’Europeo proprio con l’Under 21 e oggi pronti a fare da base alla nuova Nazionale maggiore, come Donnarumma e Bernardeschi.

Avere i giovani da coltivare e pronti deve essere una responsabilità del movimento e di chi lo amministra: e in questo senso avere una spina dorsale retta da un progetto tecnico unificato può rappresentare una soluzione organica. Questo era ciò che voleva Antonio Conte e non gli è stato permesso in toto di fare.

Certo, poi i giovani vanno fatti giocare. Il problema non sta nel limite da approrre agli stranieri (in Bundesliga non ci sono limiti e la Germania è campione del mondo in carica), ma nel fare sistema a livello di club. La Nazionale inglese di calcio è campione del mondo in carica a livello di Under 17 e Under 20, eppure secondo una ricerca del CIES tra i campionato top d’Europa nel 2017 la Premier è stata assieme alla nostra Serie A la lega con ma media età più alta tra le proprie squadre. Una modalità può essere quella delle cosiddette B, alle quali lo stesso Tavecchio aveva aperto.

Avere i giovani da coltivare e pronti deve essere una responsabilità del movimento e di chi lo amministra: e in questo senso avere una spina dorsale retta da un progetto tecnico unificato può rappresentare una soluzione organica. Questo era ciò che voleva Antonio Conte e non gli è stato permesso in toto di fare. E che dovrà essere permesso invece al nuovo commissario tecnico. Da questo punto di vista, appare corretta la scelta del “grande nome” che possa essere speso subito. Primo, perché può sopperire a quella mancanza di esperienza mostrata da Ventura nei momenti chiave. E poi perché il tempo per impostare il lavoro c’è e va sfruttato, a cominciare dall’aumento degli stage chiesto e ottenuto a suo tempo da Ventuta stesso.

Bisogna considerare che le prossime gare ufficiali dell’Italia saranno a settembre 2018, con l’avvio della Nations League, il nuovo torneo targato Uefa che ha allo stesso tempo spostato l’inizio delle qualificazioni a Euro 2020 nel marzo 2019. In quest’ultimo girone non saremo teste di serie. Ecco perché sarà importante non avere un traghettatore, ma un ct che possa avere tempo e spazio di manovra per lavorare, magari imponendo proprie scelte e uomini dove necessario. Tavecchio ci aveva già provato con Conte: sulla base di quella esperienza, sperando ovviamente sia servita da lezione, si può ripartire. Con Carlo Ancelotti? La scelta anche da questo punto di vista non ci vede partire da zero: non dovesse la Figc trovare l’accordo con l’ex tecnico di Milan, Chelsea, Psg, Real e Bayern, può sempre sfogliare una lista di nomi d’esperienza (Mancini, lo stesso Allegri ma a fine stagione, se non il ritorno di Conte): i tecnici di spessore non mancano. L’anno uno del calcio italiano è già partito. Non disperiamo.

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