Le prime analisi prendono il voto di Ostia e lo nascondono sotto il tappeto delle interpretazioni fantasia: i clan, l’astensionismo, il degrado e bla-bla-bla. È una naturale reazione difensiva. Quel voto conferma un dato che non fa comodo a nessuno (tranne il M5S): lo schema immaginato dai partiti tradizionali cinque anni fa, secondo il quale destra e sinistra avrebbero potuto costruire un nuovo Arco Costituzionale contro i grillini e utilizzare l’una il consenso dell’altra per tenersi a galla, non funziona. È sbagliato. L’elettorato della sinistra, sul litorale romano come un mese fa in Sicilia, conserva come sua priorità quella di fermare la destra, e per farlo è pronto a spostarsi sui candidati pentastellati turandosi il naso. Non si spiega altrimenti il quasi-raddoppio dei consensi al ballottaggio della signora Giuliana Di Pillo, che conquista oltre 15mila voti in più, e la debolissima prova della sua avversaria Monica Picca, che si è dovuta accontentare di un modesto “balzo” di settemila voti.
In nessun’altra area italiana come nel Lazio, e in particolare a Roma, il sistema politico e mediatico si è speso per demolire il “racconto” grillino e individuare nei Cinque Stelle il nemico principale di ogni forza realmente interessata alla buona amministrazione. Gli insuccessi della sindaca Virginia Raggi, le sue insufficienze, i suoi continui cambi di rotta e di squadra, il degrado della città che governa, sono diventati da oltre un anno – e non senza ragione – quasi un genere letterario sul quale più o meno tutti si sono cimentati. L’obiettivo era palese. Sollecitare un voto “contro”. Indurre l’elettorato a dirsi: chiunque meglio degli amici di Beppe Grillo. È finita malissimo. L’imponente astensionismo dimostra un rifiuto generalizzato e ostinato di aderire a questa lettura, e più in là il suo totale disconoscimento: il “voto contro” lascia indifferente i due terzi dell’elettorato, mobilita solo le curve, e le curve sono pronte a tutto per battere chi individuano come nemico principale nell’antico schema destra/sinistra.
L’elettorato della sinistra, sul litorale romano come un mese fa in Sicilia, conserva come sua priorità quella di fermare la destra, e per farlo è pronto a spostarsi sui candidati pentastellati turandosi il naso. Non si spiega altrimenti il quasi-raddoppio dei consensi al ballottaggio della signora Giuliana Di Pillo, che conquista oltre 15mila voti in più, e la debolissima prova della sua avversaria Monica Picca, che si è dovuta accontentare di un modesto “balzo” di settemila voti
Ancorare il voto di Ostia al tema della mafia, e addirittura al caso della famiglia Spada, è un’operazione priva di senso politico. Certamente i poteri illegali che puntano al controllo dei quartieri avranno votato e scelto il loro candidato, ma come dappertutto – e l’Italia in questo ha antichissima esperienza – hanno scommesso sulla forza che immaginavano vincente. Non c’è alcun dato ideologico negli orientamenti della delinquenza, ma solo l’estremo pragmatismo di chi ha interessi sul territorio. Le bande stanno con chi governa, e se i flussi elettorali dimostreranno quel che ha denunciato la candidata delle destre Monica Picca (il “voto criminale” regalato al M5S) non sarà che una conferma del fiuto dei clan, che immaginavano già gli esiti del ballottaggio e come sempre si sono schierati dalla parte del probabilissimo trionfatore, sperando di tirarne fuori qualcosa.
C’è una lezione, un “senso” nazionale da tirare fuori dal voto di Ostia? In altre circostanze avrebbe avuto ragione chi risponde “no”. È una situazione troppo particolare, troppo a sé stante per poterla sovrapporre a tendenze di tipo generale. Un Comune sciolto per mafia due anni fa. Un commissariamento quasi immobile. Un area dove i grillini sono storicamente molto forti (ai tempi delle Comunali, Ostia era stato il Municipio del plebiscito pro-Raggi). Una votazione con ballottaggio, quindi molto diversa dallo schema in cui si giocheranno le prossime politiche. Ma dopo il voto siciliano, dove abbiamo già visto agire una dinamica molto simile – la sinistra che vota il candidato M5S ritenendolo unica “diga” alla possibile vittoria della destra – è il caso di approfondire il ragionamento. Forse di semplificarlo.
In Italia non abbiamo un tripolarismo “paritetico”. In Italia i veri duellanti restano la destra e la sinistra, e ciascuno dei rispettivi elettorati gioca innanzitutto per vedere il suo “storico” avversario cadere nella polvere. Se non riesce a farlo direttamente, è disposto a votare chiunque gli consenta di raggiungere l’obbiettivo. L’aver sostituito alle normali dinamiche politiche la logica del calcio, degli stadi, degli ultras, che è sembrato un po’ a tutti scorciatoia facile nella ricerca del consenso, ha avuto dunque questo preoccupante e inaspettato risultato: i romanisti tiferanno chiunque, persino l’odiata Juve, pur di veder perdere la Lazio, e viceversa. Bisognerà tenerne conto per non rischiare di uscire dalle prossime politiche chiedendosi, per l’ennesima volta: “Ma come ha potuto succedere?”.
Le bande stanno con chi governa, e se i flussi elettorali dimostreranno quel che ha denunciato la candidata delle destre Monica Picca (il “voto criminale” regalato al M5S) non sarà che una conferma del fiuto dei clan, che immaginavano già gli esiti del ballottaggio e come sempre si sono schierati dalla parte del probabilissimo trionfatore, sperando di tirarne fuori qualcosa.