Sconfitta siciliana? Renzi non molla (e si gioca tutto)

Renzi perde alle elezioni, ma non cede di un millimetro. Al Nazareno considerano il ciclone siciliano già passato, e Matteo resta più combattivo che mai: “sono mesi che provano a mettermi da parte ma non ce la faranno neanche stavolta”

Contrordine, compagni. Nessun passo indietro e neppure di lato. Matteo Renzi incassa la sconfitta elettorale in Sicilia e riparte a testa bassa, in stile bulldozer. “Possiamo arrivare al 40%, sono mesi che provano a mettermi da parte ma non ce la faranno neanche stavolta”. Il Renzi-pensiero, come spesso accade quando il segretario del Pd vuole mandare dei messaggi precisi, è affidato alla sua E-News. Lo strumento di comunicazione più ‘vecchio’ ma, nonostante le infinite trovate (non sempre riuscite per usare un eufemismo) degli ultimi anni, ancora quello ritenuto più intimo, più affidabile. Forse perché ricorda, sia a lui che ai suoi, i tempi d’oro della rottamazione, quelli del Renzi Uno.

Una narrazione che l’ex premier sta cercando in tutti i modi di riagganciare. Ma è tremendamente difficile. Il mondo nel frattempo si è rovesciato. L’apertura di credito che gli italiani nei suoi confronti – culminata con le europee del 2014 – si è affievolita anno dopo anno, elezione dopo elezione. Un altro 40%, quello del 4 dicembre, ha messo la pietra tombale sull’idea di un partito egemone che prendesse per mano l’Italia e la portasse fuori dalle sacche della crisi. La suggestione del partito della nazione è stata spazzata via dai cittadini, sostituita dalla frammentazione politica e dalla prospettiva di un nuovo bipolarismo populista che sembra profilarsi all’orizzonte, con il centrodestra da una parte e il Movimento 5 Stelle dall’altra.

In un contesto del genere, con una sinistra divisa e litigiosa come non mai, la tentazione di molti – dentro e fuori il Pd – è l’eliminazione politica del leader ritenuto responsabile dello scollamento sentimentale con il popolo. Le elezioni siciliane rappresentavano un’occasione ghiottissima per trasformare questo progetto politico in congiura vera e propria. In attesa di capire cosa succederà durante la Direzione del Pd di lunedì prossimo, è lo stesso Renzi a sparigliare le carte, giocando d’anticipo.

In attesa di capire cosa succederà durante la Direzione del Pd di lunedì prossimo, è lo stesso Renzi a sparigliare le carte, giocando d’anticipo

Prima lascia trapelare la sua disponibilità a formare una coalizione larga, che includa anche la sinistra scissionista, e a confrontarsi in primarie aperte a tutti. Poi dice che il problema non è il candidato premier, che lui è disponibile a sceglierlo in base ai risultati elettorali (“come fa la destra”). Infine fa sapere – come a dire, voi occupatevi del politichese, io mi occuperò dei temi cari alle persone – che il primo punto all’ordine del giorno della Direzione sarà l’approvazione del ddl Richetti sui vitalizi.

La verità è che Renzi non cede di un millimetro. Al Nazareno considerano l’annunciato ciclone siciliano sostanzialmente già passato. Senza aver provocato danni irreparabili. Il Movimento 5 Stelle non ha vinto, il Pd non ha perso rispetto alle elezioni scorse quando in sella c’era Bersani, la sinistra-sinistra che doveva arrivare terza, o quanto meno in doppia cifra, si è fermata ad una percentuale poco più che di rappresentanza, eleggendo un solo deputato all’assemblea regionale. Tutte condizioni che – è la tesi di Renzi –hanno convinto Di Maio a fare marcia indietro sul confronto televisivo già programmato e Berlusconi a sparare a zero contro il Pd.

“Io non posso essere il segretario dei caminetti tra correnti, degli equilibri e dei bilancini: io sono perché tutti nel Pd si sentano a casa, rispettando il pluralismo e mettendo i migliori in lista. Ma sono anche perché finalmente si parli agli italiani e con gli italiani. Basta chiacchierarsi addosso”

L’appuntamento che doveva dunque indebolirlo – e forse, nonostante quel che pensi lui, lo ha fatto – ci riconsegna un Renzi più combattivo che mai. Chi pensava che il logoramento potesse cominciare con una presa di coscienza individuale è rimasto deluso: “Io non posso essere il segretario dei caminetti tra correnti, degli equilibri e dei bilancini: io sono perché tutti nel Pd si sentano a casa, rispettando il pluralismo e mettendo i migliori in lista. Ma sono anche perché finalmente si parli agli italiani e con gli italiani. Basta chiacchierarsi addosso”. È il lessico classico del renzismo, né più né meno. Certo, il segretario del Pd dice di “essere d’accordo con Franceschini” quando parla della necessità di una nuova alleanza a sinistra. Però, al tempo stesso, non è disponibile a negoziare quel ripensamento programmatico imposto da Mdp e soci per tornare a sedersi al tavolo del dialogo. Buona Scuola e, soprattutto, Jobs Act non si toccano. Punto.

“Le cose che abbiamo fatto al governo in questi anni hanno fatto uscire l’Italia dalla crisi, sia nel settore economico che in quello dei diritti. Se qualcuno ha idee migliori, le ascoltiamo volentieri”. Un messaggio a Bersani e compagni: meglio di così non si può fare, fatevene una ragione. Se c’è una cosa che non si può dire di Renzi è che non creda nelle sue idee.

È per questo che nella testa del segretario del Pd stanno crescendo due sentimenti paralleli: accanto alla consapevolezza della possibilità di andare a perdere le elezioni, la certezza che, snaturando se stesso, la sconfitta sarà, oltre che certa, ancora più pesante. Di qui la decisione, ormai presa, di giocarsela fino in fondo a modo suo, costi quel che costi. Con buona pace di chi pensava ad un’uscita di scena leggera, quasi per inerzia.

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