Una ragazzina si finge uomo per scrivere articoli di sport. Poi comincia a molestare delle donne

Una storia strana e complessa. Racchiude in sé molti problemi: il maschilismo, l’abuso di potere e la responsabilità ai tempi del social

Una ragazzina americana di 13 anni finge, online, di essere un uomo. Con la nuova identità riesce a scrivere di baseball su alcune riviste online di settore, viene perfino pagata e trova un certo seguito. Poi, a un certo punto, la cosa le sfugge di mano: per rendere più credibile la sua persona dichiara che il suo alter-ego, Ryan, è sposato e ha due figlie. E insieme simula un comportamento che, a suo avviso, avrebbe un uomo nella realtà: flirta con alcune donne, le manipola e le costringe a inviarle alcune fotografie di nudo. Poi, dopo otto anni, una persona riesce a smascherarla e l’imbroglio finisce. Il problema è che comincia tutto il resto.

Da qualsiasi parte si guardi, la storia di Becca Schultz – per anni anche Ryan Schultz – riesce solo a creare sconcerto. Come scrive l’autore dell’intervista per Deasdspin, alcune cose sono incredibili. Prima di tutto, stupisce il fatto che nessuna delle riviste per cui ha scritto, Baseball Prospectus, BP South Side, BP Wrigleyville, SB Nation, Beyond the Box Score, abbia controllato chi fosse il collaboratore. È una cosa che la dice lunga sulla serietà del settore. Certo, poi si spiega che la maggior parte di questi contributi è gratuita e, al massimo, pagata poco. Chi scrive è spinto più dalla passione che dalla necessità di farne un lavoro. Per questo motivo, si continua, i controlli sui collaboratori sono più laschi. In assenza di pagamenti veri non si fa tanto caso agli pseudonimi, che sono diffusi e, tutto sommato, innocui. Del resto, è solo baseball.

In secondo luogo – ed è ancora più sorprendente – Ryan Schultz, cioè l’alter-ego di Rebecca Schultz, ha avuto, nel corso degli anni, numerose interazioni con altre persone. In generale avvenivano online, ma alcuni dei suoi contatti hanno anche parlato al telefono con lei/lui (“Il suono della voce era strano, ma può succedere”) e, addirittura, Ryan al culmine della sua carriera ha perfino partecipato a un podcast. Anche lì, nessuno ha avuto modo di obiettare che la voce di un uomo somigliasse in modo strano a quella di una ragazzina.

Infine, la questione del genere. In questo senso, la storia di Becca/Ryan Schultz è un prisma. Per avvalorare la sua identità la ragazza ha agito “come pensava si sarebbe comportato un uomo”, ha detto. Cioè molestando, flirtando, manipolando le donne. Alcune di queste, convinte di avere a che fare con un uomo, hanno accettato le sue attenzioni. Un paio le/gli hanno perfino inviato delle fotografie nude (“Eravamo preoccupate che si facesse del male”). Una, perfino, ha avuto una relazione pubblica con lei/lui, fatta di messaggi privati sconci, interazioni e perfino una comunicazione telefonica (“Sì, la voce era un po’ strana”).

A seconda dei punti di vista, allora, la storia può significare tante cose diverse. È una denuncia del mondo (maschilista) dello sport e, più in generale, del lavoro. Può anche essere un racconto di come, al tempo dei social, sia facilissimo fabbricare una nuova (e falsa) identità convincendo chiunque che sia vera: dalle persone che instaurano una relazione alle segretarie che eseguono i pagamenti per gli articoli. È, anche, una storia di genere: dimostra come, per un uomo, sia più facile ottenere lavoro e credibilità, anche da parte delle donne. E, addirittura, mostra quanto sia credibile che sia sempre un uomo a manifestare comportamenti scorretti, molesti e persecutori. Lo pensava Becca, mentre lo faceva, lo pensavano le sue vittime, mentre lo subivano. Ma è quanto è questione di genere e quanto, in realtà, è “meta”?

C’è anche un altro aspetto da considerare: il catfishing, cioè l’assumere un’altra identità a scopo di inganno, è una trappola anche per chi lo fa. Becca ormai, almeno secondo quanto racconta, “era arrivata a un punto di sofisticazione nella simulazione della vita di Ryan che non sapeva più distinguere quali fossero i suoi pensieri e quali quelli del suo personaggio”. Non solo: a fermarla dall’idea di mollare tutto era anche il conforto e il piacere che le derivava “dal seguito che aveva e dalle amicizie che si era creata”, che di sicuro non sarebbero proseguite nel momento in cui avesse svelato la vera identità. Un antidoto alla banalità e alla solitudine. Ma anche alla responsabilità.

Che fare, allora? La questione non è tanto nella storia in sé, né nelle motivazioni di Becca (o nel suo orientamento sessuale). La questione è come si sceglierà, se mai si farà, di raccontare questa storia. Tutto dipenderà da quale angolatura sarà presa, da quali aspetti saranno messi in luce. Perché, in sé, è una matassa di questioni complesse, un coacervo emotivo di storie e idee, persone e personaggi. Le conseguenze, se mai ci saranno, deriveranno tutte da questa scelta.

X