Di Maio contro Berlusconi: così la tenaglia del voto rischia di stritolare Renzi

Dalla legge elettorale alle elezioni in Sicilia: come Renzi è riuscito a regalare voti al M5S e a far resuscitare Berlusconi sbagliando, anche e soprattutto, dal punto di vista mediatico.

«Una cosa del genere qualche mese fa non sarebbe mai successa». Negli uffici del Nazareno e in quelli dei gruppi parlamentari del Pd è tutto un guardare e riguardare il video in cui Fabio Volo, ospite di Oscar Farinetti a Serralunga d’Alba per presentare il suo nuovo libro, abbandona il palco, indispettito per l’incursione tutta politica di Matteo Renzi. Nei corridoi ragionano, sbigottiti: «Se anche gente come Fabio Volo comincia a mollarci, allora significa che siamo messi veramente male». E ancora: «Il vecchio Renzi non sarebbe mai caduto in questo errore».

Nel quartier generale del Pd, mentre il segretario gira l’Italia in lungo e in largo a bordo del suo treno, l’aria è di quelle pesanti. Non è bastato il sondaggio di Swg, pubblicato ieri in pompa magna dal foglio ufficiale del renzismo, Democratica, per far tornare il buon umore. E questo nonostante sia il primo, da dopo le elezioni siciliane, a non registrare un calo del Pd, anzi ad accreditarlo come primo partito leggermente avanti ai Cinque Stelle.

La sensazione prevalente è ancora quella di un Pd – e in particolare di un Renzi – alle corde, finito dentro una tenaglia che lui stesso ha contribuito a costruire, schiacciato dalla prospettiva di un nuovo bipolarismo, che vede contrapposti la destra di Berlusconi e Salvini da una parte e il Movimento 5 Stelle dall’altra. Uno scenario che, se diventasse stabile e si radicasse nell’opinione pubblica, porterebbe il Pd al disastro. Se chi non vuole il ritorno di Berlusconi o l’ascesa di Salvini vedesse in Grillo e Di Maio l’unica alternativa possibile, e viceversa, il Pd di Renzi potrebbe finire stritolato. Paradossalmente per mano di quella logica del voto utile tanto cara, storicamente, al centrosinistra.

«D’altronde – ragiona un parlamentare renziano non ortodosso – questa situazione l’ha creata lui, compiendo una serie di errori banali». Quali? «Il peccato originale è sicuramente la legge elettorale, un vero e proprio suicidio, un regalo alla destra». Il ragionamento è questo: con il miraggio di poter eliminare i Cinque Stelle grazie ai collegi e alla cancellazione del voto disgiunto, si è finiti solo per rimettere in corsa la destra, grazie al ritorno delle coalizioni. E qui sta il secondo errore: «Aver fatto una legge basata sulle coalizioni senza avere una coalizione. Ad andare bene, se verranno almeno confermati Pisapia, la Boldrini e la Bonino, gli alleati del Pd porteranno a casa il 3%. Pensare di andare avanti su questa strada, senza prima un accordo con la sinistra, è stata una follia». Anche perché, in molti collegi, Bersani e compagni potrebbero risultare determinanti per far vincere berlusconiani, leghisti e grillini.

Se chi non vuole il ritorno di Berlusconi o l’ascesa di Salvini vedesse in Grillo e Di Maio l’unica alternativa possibile, e viceversa, il Pd di Renzi potrebbe finire stritolato

Un po’ come successo in Sicilia, e qui sta il terzo marchiano errore: aver fatto questa legge elettorale pochi giorni prima delle elezioni nell’isola, dove già si sapeva da mesi che il testa a testa sarebbe stato tra destra e M5s, sottovalutandone l’impatto mediatico. I risultati siciliani (e, in piccolo, quelli di Ostia) – combinati con gli effetti della riforma del voto – sono stati immediatamente proiettati su scala nazionale da commentatori più o meno autorevoli. Il concetto “meglio Berlusconi o Di Maio?” è cominciato a serpeggiare nei salotti televisivi e nelle redazioni dei giornali, arrivando fino ad uno dei totem del centrosinistra come Eugenio Scalfari che si è lasciato sfuggire un “tra i due meglio Berlusconi”.

Apriti cielo. Nel giro di poche ore le parole del fondatore di Repubblica sono diventate una potente arma in mano ai grillini e alla stampa loro amica (Travaglio in primis) per provare a trasformare questa presa di posizione in un’arma pro Cinque Stelle. Con buone possibilità di successo, tanto che lo stesso Scalfari si è trovato obbligato a chiarire che si trattava solo di un discorso ipotetico e che lui ha sempre votato e continuerà a votare Pd.

Sta di fatto, però, che prima del Rosatellum e delle elezioni siciliane la grande alternativa era tra Pd e M5s, con Forza Italia e Lega alla finestra, mentre oggi la situazione sembra essersi ribaltata, con la coalizione di destra in testa a tutti i sondaggi, il M5s come probabile prima forza parlamentare e il Pd costretto all’inseguimento.

Come uscire da questa situazione? Difficile da prevedere. Renzi, come abbiamo già avuto modo di scrivere, punterà ancora molto sull’idea del Pd come unica forza responsabile in mezzo a un contesto dominato dai diversi populismi. «Deve però evitare la sindrome del ma anche veltroniano al contrario», ragiona un collaboratore del segretario. «Walter aveva l’ambizione di allargare il concetto classico di sinistra, includendo alcune delle istanze classiche dei moderati e del centrodestra. Matteo rischia di essere percepito come colui che non rappresenta né gli uni né gli altri. Sui diritti ha provato a fare cose di sinistra, inimicandosi i conservatori, ma gli è riuscito solo in parte. Su tasse e lavoro ha provato a fare cose di destra, facendo imbestialire sindacati ed ex compagni di partito, ma anche in questo caso non è andato fino in fondo. Per non parlare della scuola. Se la gente non crederà più che il renzismo possa dare risposte concrete, di destra o di sinistra che siano, c’è la possibilità che gli volti le spalle in massa e a quel punto saranno dolori».

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