Un giorno cominceranno a organizzare attacchi su vasta scala muovendosi su sedie a rotelle, come sa chiunque abbia letto Infinite Jest e incontrato gli Assassins des Fauteuils Rollent (Rollent, sì neologismo al posto di roulant, come vorrebbe il francese). Per il momento, i patrioti québécois si limitano a difendere la lingua francese dalla prevalenza anglosassone. E una delle loro ultime battaglie è la cancellazione dell’espressione di saluto Bonjour Hi. Si dovrà usare solo Bonjour, hanno stabilito, invitando tutti a piantarla con “questo irritante bilinguismo”.
È solo un simbolo (e vale più o meno come l’introduzione di “ministra” o “sindaca”) ma per alcuni politici molto nazionalisti è il segno della continua erosione della cultura francese e, insieme a quella, “della popolazione del Québéc”. Una minaccia da respingere con tutte le forze e da individuare in tutte le sue manifestazioni. Anche nell’innocente (all’apparenza) forma di un saluto.
Ci sono delle ragioni, però, per tutto questo accanimento. Negli ultimi dieci anni l’uso del francese sul posto di lavoro è diminuito del 4%. E il programma di “francesizzazione” degli immigrati, messo in piedi dal governo di Montréal, si è rivelato un fallimento (e molto costoso, per giunta). Non solo: anche la percezione pubblica sta cambiando, visto che un manager di un negozio Adidas ha commesso un grave errore, almeno dal punto di vista politico, perché ha chiesto scusa, in una provincia francofona, per l’utilizzo del francese. Il Parlamento è insorto, chiedendo alla multinazionale di mettere in campo “delle pratiche per correggere la situazione”.
Ma le cose vanno così: le lingue vanno, vengono, oscillano. Le politiche per preservare (o promuovere) una cultura devono essere sostanziali, profonde e di ampio respiro. Fermarsi a correggere le parole rivela solo una grande mancanza di idee. E spesso anche di reale interesse.