Come ci si deve vestire quest’anno? In Occidente lo decidono alcune aziende globali, in Tagikistan invece ci pensa il governo. Niente marchi della moda, nessuna sfilata, zero riviste patinate: non servono, visto che gli abiti tradizionali vanno più che bene. Per esprimere al meglio questo concetto, ad agosto hanno perfino istituito una commissione apposita: il fashion giusto, per ogni anno che verrà, sarà sempre e solo tagiko.
L’ossessione per la tradizione nazionale non esprime ostilità, come si potrebbe immaginare, solo nei confronti della pervasività occidentale. No ai jeans, no ai risvoltini, no alle caviglie scoperte anche di inverno. Ma anche no all’hijab, no al velo, ai vestiti dell’islam conservatore: chi li indossa si fa imitatore di “mode aliene”. Una regola ben chiara e molto semplice, visto che esistono già i vestiti tagiki e non si capisce perché si dovrebbe copiare le abitudini di altre popolazioni.
La “repressione”, che comprende anche un divieto per i ragazzi sotto di 18 anni di pregare in moschea, si estende anche alle bambole. La Mattel, per esempio, sperava di ingraziarsi grosse fette di mercato compiacendo gli islamici più conservatori, cioè producendo la Barbie con l’hijab ispirata sul modello della schermidrice olimpica Ibthihaj Muhammad. Un’operazione di inclusione – che somiglia molto a un’operazione di mercato – arrestata ai confini del Tagikistan: bene le bambole, male gli abiti islamici. Se gli americani vorranno vendere Barbie anche a Dušanbe (la capitale), dovranno scegliere un outfit tagiko. I negozianti sono stati già avvisati.