Le vere fake news? Sono le pseudo-notizie scientifiche (e si trovano anche sui giornali autorevoli)

La maggior parte degli studi scientifici citati dai giornali non ha validità scientifica. Ma i giornalisti ne abusano perché fanno aumentare le views, alimentando un circolo vizioso che ha una sola vittima: la scienza

La tazzina di caffè miracolosa, che se ne bevi una al giorno ti migliora le capacità del cervello, se ne bevi tre ti fa avere una memoria pazzesca e se ne bevi cinque invece dell’infarto ti aumenta la speranza di vita.

Le relazioni a distanza che non solo funzionano, ma si rivelano più significative e durature di quelle vissute giorno per giorno.

La masturbazione come imperativo categorico capace di ridurre il rischio di diabete, depressione, cancro alla prostata, insonnia, inappetenza e chissà cos’altro ancora.

Sono tutti risultati di quegli “studi scientifici” che, ogni giorno, giornali e siti web riportano sotto forma di “notizie”: alcune suonano realistiche, altre verosimili, altre ancora appaiono panzane buone per darsi di gomito in ufficio. Quasi sempre sembrano confezionate apposta per indurre gli utenti a cliccare: e da qualche tempo si è scoperto che è esattamente così.

“Plos” è il nome di un insieme di riviste scientifiche di “peer-reviewing”, che si occupano cioè di fare fact-checking a ricerche di qualunque ambito scientifico, a cui collaborano 61 premi Nobel.

Lo scorso febbraio, hanno pubblicato uno studio in cui venivano analizzati i risultati di 156 “ricerche scientifiche” che avevano trovato spazio sui media anglosassoni; non solo sono state indagate le procedure che hanno portato i ricercatori a trarre le originali conclusioni riportate dai giornali, ma sono state analizzate le riprove per stabilire se le conclusioni iniziali fossero confermate o meno.

I risultati sono stati agghiaccianti: oltre la metà degli studi non ha superato la contro-prova sperimentale, dimostrando di avere una validità scientifica pari a zero. In due parole: fake news.

Eppure, nessuna testata giornalistica che di quegli studi aveva dato notizia si è presa la briga di rettificare.

Non è la prima volta che accade: nel 2011 alcuni scienziati avevano pubblicato sulla rivista “Nature Reviews Drug Discovery” uno studio in cui si documentava come, su un campione di ricerche i cui risultati erano finiti all’attenzione del grande pubblico, solo il 25% erano dimostrabili scientificamente.

L’anno successivo, Glenn Begley, direttore del dipartimento di ricerca sul cancro della Amgen – multinazionale farmaceutica Californiana – scrisse su Nature che, analizzati 53 studi scientifici sul cancro riportati dai media, solo 6 erano stati riprodotti in laboratorio.

Prima ancora, nel 2005, John Ioannidis, professore e ricercatore a Stanford, lo aveva detto senza mezzi termini: “la maggior parte delle ricerche pubblicate sono false”.

Il problema è che se nella società moderna, caratterizzata dal dominio dei social network, le notizie hanno valore solo in base del numero di click che sono in grado di generare, la Scienza e gli scienziati sono costretti a giocare un ruolo contrario alla loro natura.

La ricerca, per definizione, si nutre di fallimenti: migliaia di ore di lavoro svolte da migliaia di individui buttate dalla finestra ogni giorno, affinché poi, dall’altra parte del mondo, un ricercatore, uno soltanto, arrivi finalmente alla scoperta in grado di riscattare tutti. Un processo lungo anni, o decenni, impossibile da quantificare a priori.

Nella società moderna, caratterizzata dal dominio dei social network, le notizie hanno valore solo in base del numero di click che sono in grado di generare, la Scienza e gli scienziati sono costretti a giocare un ruolo contrario alla loro natura

Peccato che oggi quel tempo lunghissimo, incerto e necessario non le venga più accordato. L’ambiente della ricerca è ultra competitivo, la posta in palio economica altissima: the winner takes all, il vincitore si prende tutto, e per chi non produce risultati clamorosi – o meglio “notiziabili” – non c’è futuro.

Così, nella fretta di pubblicare, i ricercatori sono spinti a testare sempre meno i loro studi, che poi mostrano il fianco in sede di riprova. Ma soprattutto, sono costretti a confezionare le ricerche con un occhio – o a volte entrambi – rivolto verso i media, alla luce della consapevolezza che, se il loro studio dovesse conquistarsi un posto in home page, la notorietà ricevuta sarebbe in grado di garantire loro la sopravvivenza. Sempre più spesso, insomma, l’agenda non viene dettata dalle esigenze scientifiche ma da quelle di notiziabilità: più appetibile viene considerata una ricerca agli occhi del pubblico casuale, più aumentano le probabilità che tale ricerca venga finanziata.

Cio’ accade perche’ i media– e questo è il senso della ricerca di Plos – non trattano la Scienza come un discorso separato, ma la considerano un contenuto come un altro, buttata nella mischia insieme alla foto di un paio di chiappe prese da Instagram o a un gol spettacolare segnato nel campionato dilettanti brasiliano, con l’unico obiettivo di contribuire ad aumentare la quantità di click.

Si chiama “economia dell’attenzione” ed è, forse, la più grande sciagura contemporanea. Politici, fashion bloggers, youtube stars, rapper, modelle, imprenditori, scrittori, e perfino scienziati e narcotrafficanti sono costretti a competere nella stessa gara per garantirsi la nostra attenzione mentre scorriamo le notizie sullo smart-phone, giocando tutti con le stesse regole: nessuno condivide una notizia tipo “uno studio ha dimostrato che la cellula MDA-MB-435 non interagisce con il virus H1N1”; molti, invece, non vedono l’ora di linkare nella chat di gruppo la notizia dello studio sulla masturbazione, per riderne con gli amici.

I media – e questo è il senso della ricerca di Plos – non trattano la Scienza come un discorso separato, ma la considerano un contenuto come un altro, buttata nella mischia insieme alla foto di un paio di chiappe prese da Instagram

Il problema, gravissimo a livello scientifico, ha conseguenze altrettanto serie a livello politico.

A furia di contro-studi come quello di Plos, e a furia di diffondere notizie che intuitivamente suonano come enormi cialtronate (si pensi a quella relativa a Hitler vivo in Argentina, riportata con enfasi da autorevoli quotidiani italiani con tanti saluti al rigore scientifico della ricerca storiografica) si mette a rischio la credibilità della Scienza in quanto tale davanti agli occhi della gente comune, con effetti potenzialmente letali per il Pianeta.

Il “climate change” non è un’oscura ipotesi relativa a un futuro lontano, ma una realtà con cui, per esempio in Giordania, si sta già facendo i conti: il 2017 avaro di piogge da noi ha significato un aumento delle auto cabrio in Riviera, laggiù ha comportato una drammatica situazione di emergenza idrica. Possiamo far finta di niente – checcefrega dei Giordani noi c’avemo l’ombrellone – ma entro il 2030 la Comunità Internazionale sarà costretta a spendere 500 miliardi di dollari l’anno per impedire che in 40 Paesi del Mondo la gente muoia di sete, con gravissime ricadute sull’economia internazionale.

Eppure, se si parla di climate change, un’ampia fetta della popolazione alza le spalle, liquidando il tutto con una battuta. E la stessa cosa accade se si parla di vaccini, sovrappopolamento, intelligenze artificiali o inquinamento atmosferico (si guardino le immagini che arrivano ogni giorno da Nuova Delhi).

Ma come si possono convincere i lettori della gravità della situazione se la Scienza, sui media, è confinata al ruolo dell’amico goliardone, che un giorno dice che una bella pippa sistema tutto e quello dopo che “vino rosso fa buon sangue”?

Le testate giornalistiche main-stream dovrebbero considerare la Scienza, e ancora di più la Medicina, come un discorso separato, e fare in modo che a occuparsene sia chi possa vantare una competenza specifica, e non certo il redattore alle prime armi, ansioso di fare “un botto di like” con lo studio australiano secondo cui i baci con la lingua difendono dal cancro.

Così come non si può difendere la dignità delle donne e poi riempire le home page con foto di donne semi-nude usate come attaccapanni dagli stilisti, non si può usare la Scienza per gridare all’emergenza e poi usarla sulla “colonnina destra” come tappa-buchi, con l’unico intento di aumentare le views.

Ma del resto, è più comodo prendersela con il popolo, ora e sempre bue, o al massimo con Putin e Donald Trump, dannati corruttori di coscienze: altrimenti, senza click-baiting, gli stipendi chi li paga?

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