È un’abitudine strana e antichissima. Augurare “salute” a una persona che starnutisce: è bon-ton, certo, buona educazione. Ma perché si fa? Non è semplice dare una risposta. Anche perché si tratta di un’abitudine molto diffusa e molto datata: ne parla Senofonte, nel 370 a.C., in un passaggio dell’Anabasi che sembra suggerire un’origine religiosa (“Mentre parlava, starnutì. I soldati lo udirono e, tutti insieme, fecero reverenza al dio”), ma già nel 77 d.C., ai tempi di Plinio il Vecchio, quel significato era perduto, visto che anche lui si chiedeva, un po’ perplesso, che senso mai avesse augurare salute a chi starnutisce.
In ogni caso, nel resto del mondo, come scrive questo bell’articolo di Atlas Obscura, si reagisce in modo diverso. Non tutti dicono “Salute!”, augurando salute (sarà poi così davvero) a chi sta male o, come sostengono alcuni, salutando un pezzo di anima che se ne esce, quasi una manifestazione del divino. Nel mondo arabo, per esempio, lo starnuto è considerato una manifestazione positiva, apprezzata da Maometto (che però odiava lo sbadiglio). Si risponde con “lode ad Allah”, o “possa Allah averti in grazia”.
In Islanda, invece, si risponde “Dio ti aiuti” al primo starnuto. Se ne segue un secondo, si dice “Dio ti dia forza”. E se arriva pure un terzo, si dice “Dio ti dia supporto”. Nell’America latina funziona più o meno allo stesso modo: al primo si dice “Salute”, al secondo “Denaro”, al terzo “Amore”, rivelando una più o meno convincente scala di valore morale e materiale.
In Yiddish, ancora, è un’occasione per fare qualche battuta. Al primo starnuto si risponde “Alla salute”, al secondo “Alla vita” e al terzo “Ai lunghi anni”. Alcuni burloni, in alternativa, potrebbero dire “Ai lunghi capelli” (sono parole, nella lingua originale, molto simili). In Serbia si dà una risposta onomatopeica: “Pis maco”, cioè “vai via, gattino”, che è forse la più bella del mondo. In Vietnam si dice – almeno ad Hanoi – “muoi”, cioè “riso con sale”, che è la cura per tutti i malanni dei bambini.