Pietro Grasso non ha mai detto che le donne sono foglioline. A dirla tutta, a dirla bene, la colpa è di Fazio, mannaggia a lui. È stato lui a dire: «presidente, le foglioline», mentre Grasso, suo ospite domenica sera, presentando agli italiani il simbolo di Liberi e Uguali, spiegava che Liberi finisce in I e pure in E, «perché noi abbiamo come elemento fondante la parità di genere». E che le foglioline rimandano all’ambiente. E alle donne, «elemento fondante della nostra formazione politica, del resto le madri, sorelle, compagne, lavoratrici possono aiutarci a cambiare realmente questo paese». Il passaparola dell’indignazione, però, dovendo sintetizzare, ha deciso che il Presidente del Senato reputa le donne dei vegetali. Degli ornamenti. Degli accessori. Dei derivati dell’uomo (come Eva, più di Eva). È impreciso (e Il Corriere della Sera ha tenuto a sottolinearlo). Ed è parecchio peggio di così: Pietro Grasso, e con lui la sinistra dolcemente antagonista che si candida a rappresentare alle prossime elezioni, pensa alle donne come a una riserva da difendere e tutelare (e non è un caso che l’idea grafica del logo del partito sia suggerire, attraverso quella E e le sue foglioline, donne e ambiente).
Lo schema è chiaro: «Le compagne possono aiutarci a cambiare realmente questo paese». Noi siamo i maschi che hanno stilato il progetto, voi siete quelle che lo affinano, lo patrocinano (matrocinano?) e, soprattutto, lo nobilitano. Le donne sono l’intestazione, la giusta causa, l’ideale a cui tendere e ispirarsi.
La ragione per la quale nel gruppo dirigente di Liberi e Uguali ci sono solo uomini non è la discriminazione sessista, bensì la salvaguardia, l’idea che il paese vada reso a misura di donna affinché una donna possa agirci dentro. Lo schema è chiaro: «Le compagne possono aiutarci a cambiare realmente questo paese». Noi siamo i maschi che hanno stilato il progetto, voi siete quelle che lo affinano, lo patrocinano (matrocinano?) e, soprattutto, lo nobilitano. Le donne sono l’intestazione, la giusta causa, l’ideale a cui tendere e ispirarsi. Da cosa mutua, Grasso, questo paradigma? Dal patriarcato? Da una cultura politica che alla richiesta di una parità nella differenza, inoltrata dalle femministe degli anni Settanta, ha risposto con l’assorbimento delle differenze ed è riuscita a esprimere sempre e solo strategie per le donne, ma mai delle donne? Non solo.
A prestare il fianco alla sublimazione delle donne da caratteri agenti a “elementi fondanti” – e alla stucchevole musealità che ne consegue – è anche l’identificazione del femminile con la virtù morale e del maschile con la sopraffazione, che ultimamente regola il pensiero sulla relazione tra l’uno e l’altro ed ha coniato un femminismo d’accatto (che lorsignori usano per lustrarsi e posizionarsi dalla parte delle donne, la parte più giusta possibile).
Di recente, Pietro Grasso ha chiesto scusa, a nome di tutti gli uomini, alle donne vittime di violenza: in accordo con Laura Boldrini, a parere della quale la violenza sulle donne “è colpa degli uomini”, ritiene che i maschi siano ontologicamente brutali. Dev’essere per questo che preferisce mandar loro al macello. Noialtre, risparmiate dall’agone politico e dalle sue brutture, ci godremo il ruolo di co-autrici, firmatarie, approvatrici, sostenitrici. Sempre meglio di quando, estromesse da tutto, le foglioline le usavamo sapientemente per distillare veleni letali.
Armiamoci, tanto partono loro.