Politici svegliatevi: la sharing economy è la nuova faccia della cosa pubblica

I politici continuano ad ignorare il potenziale della condivisione come nuovo contratto sociale da siglare. Oggi i principi costituzionali si attuano secondo schemi nuovi di socialità che la sharing economy ben evidenzia in termini di impatto sui sistemi sociali e sugli stili di vita

Di sharing economy parlano tutti: quelli che vengono scalzati dalle piattaforme come i taxisti (questi anche menano), quelli che la criticano e vagheggiano un nuovo sol dell’avvenir, quelli che la gestiscono ammantandola di socialità. Il popolo delle piattaforme, invece, tace. Le usa e basta. Per fare un po’ di economia aggiuntiva e di nuova socialità, oltre i soliti giri di un Paese che è troppo provinciale anche in centro a Milano.

I dati, del resto, parlano chiaro: l’Italia è ai primi posti a livello mondiale per numero di users delle principali piattaforme: airbnb (affitti) e blablacar (trasporti), guarda caso quelle che spingono di più sulla dimensione relazionale. La prima intermediando ormai “pacchetti” di turismo esperienziale, la seconda passaggi in auto con un esplicito valore aggiunto “conversazionale”.

Se questi dati potessero parlare cosa direbbero a una politica tutta protesa alle nuove elezioni, ma in affanno nel capire cosa sta succedendo nella società italiana? In primo luogo che si può fare socialità anche senza troppe premesse di valore, senza pompose dichiarazioni su quanto è bello e importante collaborare e condividere. Basta che funzioni, perché tanti interessi individuali soddisfatti sono il primo passaggio per recuperare quel famigerato “interesse generale” che intitola norme e regolamenti, ma al quale, per declamazione, non crede più nessuno. In secondo luogo che tutta questa economia va abilitata e non repressa. Meno multe e più sgravi, in modo da farla emergere, ad esempio come fanno in Francia riconoscendo voucher per il trasporto collettivo nelle aree meno abitate. In terzo luogo che i corpi intermedi non devono fare il solito gioco della rappresentanza, ma iniziare un “dialogo sociale” con le piattaforme aggregando gli utilizzatori non per rivendicare, ma per rendere il sistema ancora più efficace, ad esempio sul fronte assicurativo. In quarto luogo che c’è un nuovo contratto sociale da siglare. Ed è questa la vera “riforma istituzionale”. Perché oggi i principi costituzionali – lavoro, diritti sociali, reddito e redistribuzione – si attuano secondo schemi nuovi di socialità che la sharing economy, col suo successo di adesioni, ben evidenzia in termini di impatto sui sistemi sociali e sugli stili di vita.

Ed è questa la vera “riforma istituzionale”. Perché oggi i principi costituzionali – lavoro, diritti sociali, reddito e redistribuzione – si attuano secondo schemi nuovi di socialità che la sharing economy, col suo successo di adesioni, ben evidenzia in termini di impatto sui sistemi sociali e sugli stili di vita

Segnali ormai chiari di un cambio d’epoca che però nessuna delle forze che compone il paniere “dell’offerta politica” sembra aver colto. Non la destra che mette assieme, come se niente fosse, liberismo e corporativismo; non i cinque stelle che pur essendo i nativi digitali della politica oggi sembrano sempre più sedotti dalla regolazione statalista (o legalista). Per non parlare della sinistra che con Renzi vede solo il lato “tech” intermediato dalla silicon valley, mentre i liberi e uguali felici di avere una nuova controparte nel capitalismo digitale rischiano di baloccarsi a coltivare alternative elitarie. Peccato. Perché oggi un gran pezzo di popolo, quindi di consenso ma anche di trasformazione e mobilità sociale, è anche lì.

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