Alimentazione“Prodotte in gabbia non le vogliamo”: ecco la guerra delle uova tra animalisti e supermercati

Gli animalisti di Animal Equality prendono di mira le catene della grande distribuzione che non rinunciano alle uova prodotte in gabbia. Tra gli ultimi obiettivi, Eurospin. E anche tra i marchi leader per pandori e panettoni c’è chi, come Bauli, delle galline non ne vuole sapere

La guerra delle uova è in corso. E mentre compiliamo la lista della spesa del cenone natalizio, animalisti e supermercati se le danno di santa ragione. L’organizzazione internazionale Animal Equality da un lato, in testa al movimento cage free (senza gabbie). Grandi supermercati dall’altro. Motivo del contendere: la vendita di uova da allevamenti in gabbia, che secondo gli animalisti costringerebbero le galline a una vita di sofferenze, senza neanche spazio per muoversi e aprire le ali. Molti big della grande distribuzione italiana, da Esselunga ad Auchan, dalla Lidl a Carrefour, e pure Pam, hanno già ceduto al benessere delle galline, decidendo di non vendere più (da subito o entro una data precisa) le uova da allevamento in gabbia, ma solo quelle da allevamento a terra, all’aperto o bio. Restano però le pecore nere, tra cui Conad, il gruppo Selex ed Eurospin. Oltre a una serie di grossi marchi che in questo periodo usano centinaia di migliaia di uova per impastare pandori e panettoni. L’ultimo a esser passato dalla parte dei pennuti, dopo una dura campagna d’informazione, è stato Balocco. Ma altri grandi brand come Bauli, Maina o Paluani al momento di aderire alla policy delle uova buone non ne vogliono sapere.

La prima a decidere di vendere suolo “uova felici”, nel 2010, è stata Coop, senza il bisogno nessuna campagna di pressione. Da novembre 2016, poi, Animal Equality ha aperto un dipartimento ad hoc di sensibilizzazione aziendale e qualcosa in più si è mosso. L’organizzazione contatta le aziende e apre un dialogo per convincerle a vendere solo uova cage free. Se la risposta è negativa, partono le campagne di disturbo.

Tra gli ultimi obiettivi c’è Eurospin. Dall’11 al 17 dicembre Animal Equality ha indetto la seconda settimana contro la catena che ha più di 1.100 punti vendita in tutta Italia. «Eurospin è il più grande discount italiano, quindi la decisione di abbandonare le uova in gabbia avrebbe un impatto enorme sul settore, sia in termini di galline coinvolte, sia per l’influenza che avrebbe sulle altre aziende», spiega Flavia Cruciani, che gestisce il dipartimento corporate outreach di Animal Equality.

Ma nonostante una petizione che ha raccolto oltre 46mila firme e le azioni dimostrative dei volontari da Nord a Sud, l’azienda sembra non avere intenzione di aprire un dialogo con gli animalisti. La squadra dei “Difensori degli Animali”, un gruppo di 7mila persone coordinate da Animal Equality, dallo scorso marzo tempesta la catena dei supermercati con commenti su Facebook, tweet, chiamate e email. Gli attivisti, iscritti al sito iodifendoglianimali.it, hanno formato una comunità di animalisti pronti ad agire. Sono loro che hanno protestato durante l’ultima tappa del Giro d’Italia a Milano, di cui Eurospin era uno dei principali sponsor. E in questi giorni prenatalizi hanno distribuito volantini davanti ai supermercati, spesso accompagnati dal camion vela di Animal Equality che sosta davanti agli ingressi con la scritta “La spesa crudele” e il marchio Eurospin sanguinante. Come tutte le battaglie c’è anche un po’ di tensione. Più di un direttore dei punti vendita spazientito ha cacciato in malo modo gli animalisti. E se si telefona al numero verde di Eurospin, nominando la campagna per le uova, gli operatori ormai mettono giù la cornetta.


La campagna contro Pam, invece, Animal Equality l’ha vinta nel giro di tre mesi. E dopo i supermercati principali, ha aderito pure In’s, il discount del gruppo. Stessa cosa ha fatto Esselunga, che ha spostato la fascia delle uova di primo prezzo da quelle da allevamento in gabbia a quelle a terra. Ma c’è chi ancora non si adegua: Conad ha eliminato l’allevamento in gabbia solo sulle uova con il marchio commerciale, ma continua a vendere quelle degli altri brand; mentre il gruppo Selex non ha adottato alcuna policy cage free.

Sul fronte delle aziende che invece usano le uova per i prodotti da forno, l’ultima vittoria di Animal Equality riguarda Balocco. L’azienda di Fossano, Cuneo, dopo un mese di botta e risposta con gli animalisti, alla fine ha ceduto producendo solo panettoni e pandori con uova di “galline felici”. Si sono convertiti anche Giovanni Rana e Galbusera. Nessuna risposta invece è arrivata da Bauli, Maina e Paluani, tra i leader dei cosiddetti prodotti da ricorrenza, che molto probabilmente saranno presi di mira nelle prossime campagne di Animal Equality. Melegatti aveva avviato un dialogo con l’organizzazione, interrotto poi dai problemi legati alla crisi aziendale.

In Paesi come Svizzera, Germania e Austria, in seguito seguito della diffusione delle politiche aziendali cage free, l’allevamento in gabbia per le galline ovaiole è quasi del tutto scomparso

Dal 1 gennaio 2012 in Italia è in vigore una direttiva europea che obbliga i produttori di galline ovaiole a sostituire le vecchie gabbie con le cosiddette “gabbie arricchite” (con una superficie di 750 centimetri quadri per gallina) per migliorare il benessere degli animali. Ma il passaggio non avrebbe prodotto in realtà alcun beneficio sulla vita delle galline. L’allevamento a terra avviene in capannoni chiusi senza accesso all’esterno con un massimo di nove galline per metro quadrato. In quello all’aperto le galline hanno accesso quotidiano all’esterno, e lo stesso vale per quelli biologici (variano solo gli spazi minimi e la tipologia del mangime).

«Quello in gabbia è la forma peggiore di allevamento dal punto di vista del benessere animale», dicono da Anymal Equality. L’organizzazione ha realizzato una video-inchiesta negli allevamenti in gabbia italiani dal titolo “Il vero prezzo delle uova”, che mostra la condizione delle galline in gabbia. «L’affollamento impedisce agli animali di svolgere movimenti seppure minimi; anche l’apertura delle ali, azione che in natura viene ripetuta con una certa frequenza, diventa di fatto impossibile», spiega Enrico Moriconi, veterinario e Garante degli animali della Regione Piemonte. «Condizioni ambientali negative, provocando stress e malessere, favoriscono il manifestarsi di atti di aggressività all’interno dei gruppi di animali, comprese le galline».

L’idea di Animal Equality è che facendo convertire la grande distribuzione, soprattutto i big del settore, anche i produttori di uova faranno lo stesso: agli allevatori interessa vendere le uova, che siano a terra o in gabbia. D’altronde, smantellare le gabbie e convertire gli allevamenti almeno a terra per i produttori avrebbe un costo ridotto, I capannoni resterebbero uguali, diminuirebbe il numero di galline. «Secondo dati europei, il costo di produzione delle uova in allevamenti a terra è superiore di circa 1 centesimo rispetto a quelle prodotte in gabbia», spiega Flavia Cruciani.

Secondo l’ultimo rapporto Coop, solo nei primi sei mesi del 2017 la vendita di uova da allevamento in gabbia è calata dell’8,2 per cento

In Paesi come Svizzera, Germania e Austria, in seguito seguito della diffusione delle politiche aziendali cage free, l’allevamento in gabbia per le galline ovaiole è quasi del tutto scomparso. In Germania sono allevate all’aperto oltre 9 milioni di galline. In Olanda più di 5 milioni. I Paesi più indietro in Europa sono Grecia e Polonia.

L’Italia è in una posizione intermedia. Nel nostro Paese ad oggi sono allevate circa 42 milioni di galline ovaiole, per una produzione totale di uova di circa 650mila tonnellate all’anno, pari a 12,5 miliardi di uova, di cui il 34,3% prodotti fuori dalle gabbie. Si tratta soprattutto di allevamenti a terra (12 milioni), seguiti a lunga distanza da quelli bio (1,3) e da quelli all’aperto (743mila). Il leader italiano di produzione, Eurovo, che detiene il 30% della quota di mercato in Italia e il 10-16% in Europa, nel 2015 ha aperto a Codigoro (Ferrara) il più grande allevamento a terra del mondo, con un’estensione di 25 ettari e 1,2 milioni di galline. Mentre l’altro big, Aia, non sembrerebbe muoversi nella stessa direzione.

La percentuale cage free in Italia però è in crescita, visto che anche i consumatori stanno diventando più sensibili: secondo l’ultimo rapporto Coop, solo nei primi sei mesi del 2017 la vendita di uova da allevamento in gabbia è calata dell’8,2 per cento. Alla fine anche i supermercati più reticenti dovranno arrendersi: il cliente, si sa, ha sempre ragione. E le galline ringrazieranno.

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