“Anche io vorrei andare in ufficio senza scarpe”
Partiamo da qui.
E partiamo confusamente, a zonzo, senza una meta precisa, e addirittura senza una strada su cui camminare, con o senza scarpe.
Le scarpe. Chi ha visto il film Steve Jobs, sul padre della Apple, si ricorderà come Steve Jobs amasse andare in giro scalzo, a piedi nudi. Anche in assenza di una igiene personale definibile come tale.
Steve Jobs sicuramente è uno di quei personaggi che potevano finire nel testo di Oh, vita, singolo eponimo del nuovo album di Jovanotti. È di Jovanotti e di Oh, vita che si parla qui, non di Steve Jobs, e lo si fa esattamente seguendo il suo flow, il suo flusso narrativo. Si chiama mimesi. Scrivo di Tizio e ne scrivo esattamente come se fosse Tizio a scriverne. Così faccio io. Jovanottizzo.
Steve Jobs, si diceva, sarebbe potuto serenamente finire nel singolo di Jovanotti, o in una qualsiasi altra sua canzione compilativa, di quelle canzoni in cui infila uno dietro l’altra nomi, citazioni, concetti più o meno intellegibili, città, etc etc. Perché Steve Jobs non è solo l’inventore della Apple, ma è anche quello che al famoso discorso ai laureando ha detto quella cosa di “essere folli e essere affamati” che fa così tanto Jovanotti e quel suo modo di disegnare il mondo. Poetica, non avesse scippato questa parola Cremonini, che poi rientrerà in scena in questo scritto, dovremmo dire che Steve Jobs e la sua frase sull’essere folli e essere affamati fa parte della poetica di Jovanotti.
Il fatto è che è uscito il nuovo album di Jovanotti e vi sarà forse capitato di intuire che a produrlo sia Rick Rubin. Per chi abbia avuto l’occasione di seguire la diretta streaming della sua conferenza stampa, conferenza stampa ospitata nello JovaShop di Milano, temporary shop sito in Piazza Gae Aulenti, proprio per il lancio dell’album prodotto da Rick Rubin, avrà sentito nominare Rick Rubin circa duemila volte, o lo avrà addirittura visto, scalzo, negli spezzoni di video tratti dal suo film, un film che andrà nei cinema tra qualche giorno, per il lancio dell’album Oh, vita, prodotto da Rick Rubin. È uscito Oh, vita, prodotto da Rick Rubin e l’ascolto è stato quantomeno spiazzante.
Perché Rick Rubin è probabilmente uno dei produttori musicali più famosi al mondo, togliete quel probabilmente, e sicuramente è quello che più ha influenzato la generazione di cui Jovanotti e io facciamo parte, con i suoi lavori fatti col rap, sua l’idea della Def Jam, e col rock, dai Red Hot Chili Peppers a Johnny Cash, per non dire del pop, da Shakira a Justin Bieber. Insomma Rick Rubin è Rick Rubin, e per la prima volta ha lavorato con un artista italiano, Jovanotti. Ma nel farlo ha aiutato Jovanotti a tirare fuori il suo album meno jovanottiano, poi spiegherò cosa intendo con questo, e sicuramente il suo album meno contemporaneo, almeno in apparenza, e altrettanto sicuramente il suo album con meno hit. Qualcosa di spiazzante, appunto. Perché Oh, vita, l’album di Jovanotti prodotto da Rick Rubin, è un album composto per nove quattordicesimi di canzoni in cui Jovanotti praticamente canta accompagnato da un solo strumento, otto volte su nove la chitarra acustica. Negli altri cinque episodi siamo più dalle parti del Jovanotti di una ventina d’anni fa, tra rap e quella roba lì che fa Jovanotti. Come dire, fanculo a Canova e al lavoro sull’electropop fatto negli ultimi dieci anni, ma questa è ovviamente una lettura semplice, non da critica musicale. Rick Rubin ha preso la sovrastrutturazione delle canzoni di Jovanotti, i tanti suoni, i tanti spunti musicali, e li ha buttati nel cesso, riducendo all’osso, come John Gardner con Raymond Carver, direbbe lui dopo aver consultato Wikipedia.
Rick Rubin è Rick Rubin, e per la prima volta ha lavorato con un artista italiano, Jovanotti. Ma nel farlo ha aiutato Jovanotti a tirare fuori il suo album meno jovanottiano
Giorni fa vedevo un documentario sul National Geographic. Era un documentario sulle zebre. A un certo punto la voce neutra che accompagna le scene ha raccontato di come le zebre abbiano una sovrapproduzione di spermatozoi, in determinati periodi dell’anno. Al punto da non riuscire a espellerle tutte attraverso le modalità convenzionali, cioè le eiaculazioni. Per questo, e mentre la voce raccontava le scene in onda dentro il mio televisore facevano vedere la cosa, non proprio gradevolissima, le zebre tendono a mordersi lo scroto, così da far uscire parte del liquido seminale attraverso a ferite che si autoprocurano.
Ecco, ascoltando Oh, vita è questa la scena che mi è venuta in mente, una zebra che si morde lo scroto affinché non gli esplodano i testicoli. Solo che a mordere, nello specifico, è stato Rick Rubin, mentre la zebra è Jovanotti.
Rick Rubin ha tolto. Ha tolto strumenti. Ha tolto suoni. Ha tolto tracce. Lasciando che fossero pochi strumenti e pochi suoni a riempire le canzoni. Lasciando che emergessero melodie e parole, seppur parole per lui incomprensibili. E lasciando poi a quelle cinque canzoni ritmate il compito di eiaculare.
Risultato, un album che non ha singoli. Un album da ascoltare con attenzione, poco immediato. Un album in cui le assenze suonano più delle presenze, nonostante le tantissime parole usate da Jovanotti. Un bell’album fuori dal tempo, a suo modo anche rivoluzionario. Un bell’album che in streaming presumibilmente non farà numeri, perché non flirta con la trap o con la musica che in streaming funziona.
Un album che pone delle domande.
Queste.
Perché farlo uscire a un mese esatto dall’uscita di scena, in classifica, proprio dello streaming gratuito? È noto che da gennaio verranno conteggiati dalla FIMI solo gli ascolti premium, cioè quelli fatti dai quattro gatti che pagano per usare Spotify e affini, uscire oggi con un album del genere davvero lascia perplessi.
Altra domanda, durante la conferenza stampa, esattamente come era successo una settimana prima con Cremonini, è stato evocato Alessandro Massara, CEO della Universal, e esattamente come una settimana prima si è detto di come questi siano album fatti per il gusto di fare musica, inseguendo un proprio pensiero personale, non condiviso con la casa discografica. Per dirla alla Jovanotti, “E chi se ne frega se poi non ci sono hit radiofoniche”. Questa la domanda: Massara, hai da poco nominato un nuovo responsabile degli A&R, è normale che gli artisti di punta della vostra azienda palesino un così chiaro disinteresse nei vostri confronti? Nel senso, siete così alti da potervi permettere di non occuparvi anche di mercato o magari la situazione vi è un filo sfuggita di mano? Non era meglio mettere lì qualcuno che fosse in grado di infilare uno dietro l’altra le uscite senza che, in uno sgradevole effetto domino, i vostri artisti non finissero per scalzarsi a vicenda dalla vetta della classifica, magari mettendo qualche settimana tra l’una e l’altra? E soprattutto, Jacopo Pesce?
Un bell’album fuori dal tempo, a suo modo anche rivoluzionario. Un bell’album che in streaming presumibilmente non farà numeri, perché non flirta con la trap o con la musica che in streaming funziona.
E torniamo ai piedi senza scarpe da cui siamo partiti. La frase in questione è stata appunto pronunciata da Alessandro Massara, dopo che Jovanotti, imitandolo, aveva detto che, durante i giorni precedenti all’ascolto delle canzoni fatte con Rick Rubin (abbiamo smesso di nominarlo ma voi continuare a ripeterlo, come in un mantra) il CEO della Universal gli aveva detto “Ma che ci frega di come andrà. Stai lavorando con Rick Rubin, potresti vendere anche solo mille copie e già avresti fatto la storia” (vado a memoria). Una frase bella, che pone la musica al centro della scena. Fanculo il mercato. Peccato che subito dopo Massara ci abbia tenuto a sottolineare come lui debba rispondere ai suoi capi internazionali. E, di conseguenza, di come i numeri siano importanti, certo non lesinando parole di stima e lasciando intendere scenari positivissimi, molto jovanottiani. E peccato che abbia poi concluso con quella frase: “Anche io vorrei andare in ufficio senza scarpe”. Come dire, mi piacerebbe anche a me fregarmene delle convenzioni, del mercato, del sistema. Ma è grazie al sistema che campo e che, parole non dette ma presenti nell’aria, che tutto questo è possibile.
Tutto questo cosa?
L’uscita di Oh, vita, album prodotto da Rick Rubin, in primis. Ma non solo. E qui veniamo all’altro paradosso wellsiano cui ha assistito chiunque fosse presente alla conferenza stampa di lancio di Oh, vita, album prodotto da Rick Rubin (scusate, mi sono lasciato riprendere la mano) o la abbia seguita in streaming. Il paradosso di chi, zebra, si è lasciato mordere lo scroto per non esplodere, parafrasando, il paradosso di chi ha dichiarato di aver fatto un album solo per amor di musica, ma di chi al tempo stesso lo ha lanciato parlando sotto una gigantografia della copertina dell’album, gigantografia che lo ritrae, sotto una scritta dorata che recita a lettere cubitali JOVANOTTI, dentro un temporary shop che si chiama JovaShop e che è tappezzato di gadget con su il nome Jovanotti, dagli zainetti ai libri (sì, perché è uscito anche un libro dal titolo Sbam, con Jovanotti in copertina). Insomma, uno che professa di aver posto la musica al centro della scena, al punto da fregarsene del mercato, ma che al tempo stesso si autocelebra come neanche Kim Jong Un.
A questo punto qualcuno, il solito cagacazzi, si starà chiedendo cosa io, in fondo, pensi di Oh, vita, l’album prodotto da Rick Rubin. Penso che ci siano delle belle canzoni, come il brano per piano stonato e voce con autotune Amoremio, almeno una ottima canzone. Quello che intendevi, una sorta di Walk on the Wild Side jovanottiana. Un album discontinuo, perché i brani veloci poco sono attinenti con quelli lenti. Un album che conteneva la canzone dei mondiali, In Italia, sorta di Maracanà di Emis Killa per il 2018, se solo l’Italia fosse andata ai mondiali. Un album che scalzerà “Possibili Scenari” di Cremonini dalla vetta della classifica, ma che poi verrà scalzato a sua volta da Modena Park di Vasco Rossi, con Coez e Riki sempre lì a dar filo da torcere a tutti. A me piace, ma a me piace sia Gianni Togni che i Richmond Fontaine, non faccio testo. Mentre scrivo queste parole, volutamente sconclusionate, sono scalzo, per dire. Io posso.