Il ruba-bandiera tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni è cominciato a Roma, in piazza Santissimi Apostoli, dove il leader leghista ha scelto di aprire la sua campagna elettorale con una aperta sfida alla segretaria di Fratelli d’Italia, studiata fin nei dettagli. Sul palco Matteo piazza tutte donne (sottotesto: cara Giorgia, mica sei la sola donna in politica). Alla sua destra mette l’on. Barbara Saltamartini, che proviene da una lunga militanza in An (sottotesto: la destra sta con noi). E poi il discorso, un’invettiva contro lo Ius Soli in qualche modo inedita perché accompagnata dal riconoscimento del valore degli immigrati regolari, e quindi orientata a temperare l’abituale rudezza del Ruspa con toni che una volta si sarebbero detti “da destra sociale”.
Non a caso Gianni Alemanno, che di recente ha aderito alla Lega, è in piazza, «in questa splendida domenica con migliaia di italiani che non si arrendono, che segnano un Paese sicuro, forte e libero», come scriverà poco dopo su Facebook. C’è anche Francesco Storace, che intervista amici e conoscenti col cellulare: «Anche a Roma la Lega sta prendendo piede», dicono in molti con larghissimi sorrisi. Ed è proprio la presenza dei due storici personaggi romani – un ex sindaco e un ex presidente di Regione, non dimentichiamolo – a confermare che il comizio romano è la prima manche di una gara in qualche modo inaspettata: pensavamo a un Salvini in concorrenza con Berlusconi, e invece la vera corsa della Lega è prendersi l’elettorato della destra nel Centro-Sud, e magari fare lo sgambetto al Cavaliere travasando un paio di punti percentuali da Fdi al Carroccio.
Pensavamo a un Salvini in concorrenza con Berlusconi, e invece la vera corsa della Lega è prendersi l’elettorato della destra nel Centro-Sud, e magari fare lo sgambetto al Cavaliere
I sondaggi accreditano il centrodestra di un rotondo 36 per cento e attualmente Forza Italia guida la coalizione con due punti di distacco dalla Lega (più o meno 15 a 13). Il 5 per cento detenuto dalla Meloni è un bacino piccolo ma determinante per la conservazione degli attuali equilibri e soprattutto della leadership berlusconiana, tantoché il Cavaliere ha dato un pronto nulla osta al trasloco della fedelissima Daniela Santanché per rafforzare il fortino di Fdi e tenerci dentro l’elettorato «con la bava alla bocca» (la definizione è della medesima Santanché) che potrebbe essere tentata dalle battagliere suggestioni di Salvini.
È una gara bizzarra quella che si è aperta. Per molti versi un secondo round, diametralmente opposto, della partita vissuta negli anni ’90 in cui sia la Lega sia la destra cercarono legittimazione politica abbassando i riferimenti identitari in favore di modalità politiche meno elettrizzanti per i militanti ma più consone a forze che aspiravano al governo. Adesso si torna alle origini, e lo “sdoganamento” – cioè il biglietto per sedersi ai tavoli della prossima legislatura e del prossimo governo – lo si cerca corteggiando emozioni del passato remoto. Giorgia Meloni ha cancellato la dicitura Alleanza Nazionale dal suo simbolo, enfatizzando la Fiamma Tricolore che fu del Msi di Almirante e della destra francese pre-Marine, quella di Jean Marie Le Pen. Salvini va a caccia di “nomi nobili” legati ai fasti del passato, e non solo a Roma: in Puglia, sabato scorso, ha fatto salti mortali per essere alla presentazione di un libro di Salvatore Tatarella, fratello di Pinuccio, leader della vecchia destra meridionale (e non solo).
Si conferma l’incapacità storica della destra italiana di emanciparsi dal ruolo di area “di servizio” per soggetti terzi, partito-taxi come diceva brutalmente Enrico Mattei, o in termini più gentili “bacino elettorale” dal quale pescare in caso di emergenza
Insomma, i voti della destra magari saranno pochi ma risultano, oggi come in passato, determinanti per le forze maggiori, il che magari potrà inorgoglire i militanti – improvvisamente ricercati, blanditi e corteggiati come non mai – ma dall’altro conferma l’incapacità storica della destra italiana di emanciparsi dal ruolo di area “di servizio” per soggetti terzi, partito-taxi come diceva brutalmente Enrico Mattei, o in termini più gentili “bacino elettorale” dal quale pescare in caso di emergenza, quando serve, salvo poi ricacciarlo nelle retrovie.